Per un giornalismo etico: l’appello della mamma di Giulio Regeni alla serata “I nostri angeli”

Trieste – La signora Paola Regeni, mamma di Giulio Regeni, il giovane ricercatore di Fiumicello ucciso in Egitto un anno e mezzo fa, è stata nuovamente ospite della serata finale della 14ª edizione de “I nostri Angeli”, Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta svoltosi al Teatro Rossetti di Trieste nella serata del 22 giugno. L’evento sarà trasmesso su Raiuno il 7 luglio prossimo.

Il Premio Luchetta è un evento di riferimento per il giornalismo italiano e internazionale: un’immersione nell’attualità del nostro tempo per illuminare e raccontare le periferie del pianeta e il miracolo di un’infanzia che resiste alle emergenze più dure, travolta fra guerre, terrorismo, migrazioni epocali, fame e carestie.

Ha presentato la serata “I Nostri Angeli” Alessio Zucchini, giornalista e speaker del Tg1.

La signora Regeni, che era accompagnata dalla legale della famiglia, avv. Alessandra Ballerini, ha lanciato un appello per un “giornalismo etico”: “Per la verità che cerchiamo da un anno e mezzo – ha detto – manca ancora un ultimo step, quello più difficile. Ma in tutto questo tempo abbiamo capito l’importanza di poter contare su un giornalismo etico, che ci accompagni nella ricerca della verità e della giustizia. Un giornalismo che vuole certamente indagare, approfondire, comprendere, creare connessioni, ma senza pregiudicare il lavoro che stiamo portando avanti solo per scrivere due paginette”.

Un giornalismo, quello auspicato dalla famiglia Regeni, rispettoso delle persone, in particolare di quelle più fragili, come quello praticato dai colleghi selezionati per questa manifestazione: reporter che ogni giorno mettono a rischio la vita per farci conoscere la verità su migrazioni,  guerre, carestie, sui tanti muri che imprigionano intere popolazioni.

Come Valerio Cataldi di Rai Tg2 Dossier, che ha raccontato la rotta dei Balcani con gli occhi di Aziz, un bambino di 8 anni, respinto per cinque volte assieme a suo padre alle frontiere ungheresi, che ora è riuscito a raggiungere Parigi.

Come Laura Silvia Battaglia di Left Magazine, che ha fatto luce sui rischi quotidiani che corrono i bambini yemeniti.

Come Lyse Doucet di BBC News, che ha dato voce alla speranza di Bara’aa, una bambina siriana che desiderava solo andare a scuola.

Come Tom Parry, che sul Daily Mirror ha reso omaggio alla piccola Hamdi, una bimba somala morta di fame.

Come Khalil Ashawi, bloccato in Turchia a causa di un visto che non arriva, ma che ha vinto il premio per la miglior fotografia, quella di una ragazza siriana con una gamba amputata che controlla il cellulare nel campo rifugiati a nord di Aleppo (nella foto).

Ma c’è anche il viaggio della speranza senza rischiare di morire in mare, come accaduto ad oltre 5000 persone solo nel 2016. Sono quelli che arrivano attraverso “Mediterranean Hope”, il progetto “Corridoi umanitari: l’accoglienza oltre l’emergenza”, avviato con Protocollo d’Intesa dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese.

“Un sogno» ha detto la presidente della Fondazione Luchetta «quello che abbiamo scelto di illuminare con il Premio Speciale 2017, che può e deve diventare realtà e può rappresentare un modello per tutti i Paesi europei”.

Perché la verità è una sola: siamo tutte persone e l’unica cosa che dobbiamo decidere, come ha ricordato consegnando il premio Unicef all’agenzia Ansa il portavoce Andrea Iacomini, è da che parte stare, se con gli umani o con i disumani.

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