“Stringimi forte”: un manifesto alla resilienza. “Se il tuo corpo si fa più leggero, potremo salvarci”

Fvg – Scelgo questo film Stringimi forte di Mathieu Amalric perché mi interroga, mi commuove, mi trascina in un momento storico in cui i ricordi diventano fonte di resistenza oltre che di resilienza.

Qual è il linguaggio dei ricordi? Quale modalità utilizzano per comunicare con noi, per accompagnarci nella lunga discesa verso la sublimazione, attraverso quel metodo che oramai abbiamo imparato essere la resilienza?

Strane sono le trame e come sempre appartengono poco al linguaggio verbale. Si manifestano in immagini, piccole polaroid sbiadite sistemate con cura sulla superfice di un letto che non è il nostro, oppure alcune note suonate sul pianoforte, quel susseguirsi di bianchi e neri che genera il calore dell’impegno e della costanza, quel progetto portato avanti con caparbietà, interrotto bruscamente dall’ineffabile. I ricordi parlano il linguaggio delle immagini, dei suoni, dei profumi e degli aromi, mimano le presenze, descrivono la tregua momentanea, prima del prossimo riflusso.

Stringimi forte di Mathieu Amalric (Francia 2021), tratto da una pièce teatrale (Je reviens de loin di Claudine Galea), è un film sulla fuga, intesa come tentativo di scrollarsi di dosso una situazione insopportabile, una sorta di spazio tra il dolore percepito e il proseguimento della vita. Ma è anche la fuga dalle situazioni che hanno costruito ciò che è andato perso, fuga da ciò che si ama perché quell’amore non esiste più. Ho trovato particolarmente azzeccato il paragone tra fuga e lutto.

La narrazione segue due percorsi paralleli, inganna a volte il pubblico che rimane dubbioso ma emotivamente legato alla figura di una donna che soffre e che cerca di farcela con i mezzi che ha a disposizione: amiche sincere, una vecchia automobile familiare, un viaggio fuga per non andarsene mai, con l’illusione che se non vivi nel proseguimento di ciò che è accaduto, magari non è mai accaduto, forse le cose sono ancora lì che ti aspettano. “Non me ne sono andata” dice la protagonista, e la sua considerazione fa da contraltare a una verità che considero assoluta: non siamo noi ad andarcene, anche quando perdiamo il controllo delle nostre azioni.

I ricordi allora diventano sogni, progetti onirici su come potrebbero essere andate le cose, sovrapposizioni di matrici differenti, il tutto orchestrato dalla fondamentale presenza scenica di Clarisse (la Vicky Krieps de “Il filo nascosto”), la protagonista, che da sola regge l’impianto narrativo ed emozionale.

Non ci sono grandi movimenti registici in questo film che diventa intimo nelle sue atmosfere. Pochi dialoghi, molti ricordi stampati su polaroid (non ho potuto fare a meno di pensare a “Memento” di Nolan del 2000), una sorta di condivisione della vita con i fantasmi a tratti Felliniani, suoni, musiche, interni di stanze sconosciute e panorami aperti, come a sottolineare due situazioni contingenti nella stesso tempo.

“Stringi meno forte. Se il tuo cuore si fa più leggero, potrò salvarmi” recita la seconda variante del titolo e solamente con un abile gioco di editing si arriva al cuore della narrazione.

 

Raimondo Pasin studia all’Accademia delle belle Arti di Venezia e frequenta il corso di mass media tenuto dal Docente Carlo Montanaro. In seguito si abilita all’insegnamento di “Linguaggio per la cinematografia e la televisione” all’Accademia delle belle Arti di Bologna. Insegna cinematografia al corso audiovisivo dell’istituto Galvani di Trieste fino al 2018. Attualmente insegna Disegno e Storia dell’arte al Liceo Galilei di Trieste.

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