“Ritratti africani” al Magazzino delle Idee: per creare nell’ immaginario collettivo una narrazione visiva innovativa che racconta l’evoluzione storica e sociale di quel continente

Trieste – Pensate a ciò che vi è capitato di vedere fino ad oggi nelle immagini che descrivono la vita africana.
Noti fotografi occidentali si sono dedicati a riprendere situazioni tribali, donne nude, uomini con perizomi rudimentali, bambini stretti con fasce sulla schiena delle madri intente a lavorare oppure lasciati a ruzzolare a terra con animali e magari piangenti, oppure, i grandi dittatori seduti su teste di leoni o tigri e incorniciati da mastodontiche zanne di elefante. Di sicuro gli autori di queste fotografie hanno colto ciò che vedevano realizzando, forse, interpretazioni che già esistevano nel loro immaginario e, a mio avviso, rafforzando lo stereotipo di un’Africa non proprio reale.

Ebbene la mostra “Ritratti africani”, allestita presso il Magazzino delle idee di Trieste, va a creare nell’immaginario collettivo uno spiraglio diverso raccontando l’evoluzione storica e sociale di quel continente, il suo processo di liberazione e autonomia, attraverso gli sguardi di tre noti fotografi nativi africani.

Con questa mostra si apre così uno straordinario spaccato documentale ed artistico che dalla fine degli anni 1940 ci porta ai giorni nostri.
Sono esposte circa 100 immagini selezionate da Filippo Maggia, curatore della mostra, con il contributo di importanti enti come The Contemporary African Art Collection di Ginevra, la Galleria Jean Marc Patras di Parigi, la Fondazione Modena Arti Visive e numerosi prestatori privati.

Nelle sale del Magazzino delle idee il percorso espositivo inizia proprio con una fotografia di Seydou Keïta, il primo dei tre fotografi africani. Keïta ritrae un uomo reso ancor più grande dalle dimensioni della stampa fotografica, sicuramente è un personaggio importante che tiene in braccio un bimbetto con vesti simili al padre. E’ una fotografia di grosso impatto che dimostra l’orgoglio di chi mostra il proprio erede. Tutte le altre opere dell’autore hanno soggetti messi in posa, vestono sia abiti tradizionali sia “mises” in voga negli anni ‘50 e ‘60 in Europa e negli USA, gli sfondi sono fatti da tende o da variopinti tessuti africani.

Bisogna sapere che Seydou Keïta è il maggiore di cinque figli, nasce nel 1921 a Bamako in Mali, allora Sudan francese, in una famiglia discendente dal clan di Sundjata Keïta, iniziatore dell’Impero del Mali nel XII secolo e della dinastia Touré, tra i nuclei fondatori della città di Bamako. All’età di soli sette anni inizia a lavorare nella falegnameria di famiglia. Lo zio nel 1935 gli regala la sua macchina fotografica, una Kodak Brownie 6×9. Le prime fotografie sono ritratti dei familiari e degli operai al lavoro. A 18 anni inizia la sua attività di fotografo, autodidatta e nel 1948 apre uno studio, nel quartiere Coura di Bamako, dove lavorerà come ritrattista fino al 1977 realizzando migliaia di immagini che oggi rappresentano un’importante testimonianza della cultura africana dell’epoca coloniale e post-coloniale. La maggior parte dei suoi lavori sono ripresi con banco ottico, luci sapientemente dosate e stampa a contatto senza alcun tipo di ingrandimento, in un’unica copia. Il fotografo ritrae con grande rispetto persone a mezzo busto o a figura intera sottolineando la loro dignità. La notorietà gli arriverà per caso nel 1991 e il successo sarà internazionale.

Il secondo dei fotografi africani esposti è Malick Sidibé di etnia Fulani, nasce nel 1936 nel piccolo villaggio di Soloba a 200 chilometri da Bamako. E’ l’unico della famiglia che ha l’opportunità di studiare. Avendo predisposizione per il disegno frequenta la Maison del Artisans Soudanais di Bamako, nel Mali, allora Sudan francese. Viene assunto come decoratore in uno studio fotografico francese della città e nel 1956 acquista la sua prima 35 mm. Sostituisce il fotografo, titolare dello studio, in tutti gli eventi che riguardano la comunità africana, è presente a tutte le feste e balli in città lavorando la notte per poter esporre le immagini in vetrina il mattino seguente. Il suo lavoro riprende un Paese che, negli anni sessanta, ottenuta l’indipendenza, libera le generazioni più giovani dai tabù dei loro genitori.

A differenza di Keïta, Sidibé registra le feste al ritmo di rock’n’roll o di swing e giovani che vestono alla moda con pantaloni a zampa e occhiali a farfalla. Pur prediligendo la figura intera o il ritratto americano, le sue opere sono caratterizzate dal movimento. Nel 1962 apre la “Studio Malick” nel quartiere di Bagadaji, nel centro di Bamako, che diventerà il più importante della capitale. Qui le persone fotografate si sentono a loro agio, indossano abiti alla moda degli anni ‘60 e ‘70 e non mancano delle vere e proprie messe in scena con Lambretta o altri oggetti. Con Sidibé la fotografia africana fa un passo in avanti denotando il desiderio di libertà e divertimento. Anche Sidibé dopo 30 anni di attività verrà scoperto negli anni ‘90 e la sua fotografia farà il giro del mondo.

Concludono la mostra le opere di Samuel Fosso, che essendo il più giovane apporta alla rassegna una connotazione originale e artistica. Samuel nasce a Kumba nel Camerun nel 1962, da genitori di origine nigeriana, da dove fugge a causa della guerra e si stabilirà a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Dapprima lavora come calzolaio, nel 1975 diventa apprendista fotografo e a soli 13 anni apre il suo primo studio fotografico: lo Studio Photo Nationale. Lavora come ritrattista documentando la popolazione locale e riscuote un buon successo che gli permette di approfondire la sua ricerca, quella dell’autoritratto, attività che si rivelerà dominante negli anni successivi fino a decidere di abbandonare il lavoro professionale in atelier.

Pur riferendosi alla caratteristica iconografica di Keïta e Sidibé l’opera di Fosso si distingue principalmente per la differente coscienza artistica, egli separa la produzione professionale dalla ricerca. La sua progettualità e specificità trova la sua formula nella dimensione performativa – teatrale con travestimenti, maschere, abiti e accessori che fanno riferimento alla cultura africana. In mostra si possono ammirare le fotografie sia di quando si autorappresenta o si impersonifica nel Rocker o nella Borghese o nel Pirata sia quando prende le sembianze del dittatore Lumumba, Angela Davis, Nelson Mandela o Hailé Selassié. In queste ultime opere si nota che lo studio va al di là delle sembianze fisiche indagando anche le personalità psicologiche.
A causa della guerra civile nel 2014, quando la sua casa e studio a Bangui verranno distrutti come i circa 15000 negativi, Samuel Fosso è costretto a trasferirsi a Parigi, ma le fotografie di ricerca vengono salvate essendo l’artista, già dagli anni ‘90, noto al mondo della fotografia.

Alla fine del percorso espositivo è stato allestito un set fotografico, simile a quelli utilizzati dai tre artisti africani, dove il visitatore può fotografarsi e farsi fotografare.
La mostra Ritratti africani è prodotta e organizzata da ERPAC Friuli Venezia Giulia.

Visitabile sino all’11 giugno; orari di visita: da martedì a domenica, dalle ore 10:00 alle 19:00. Lunedì chiuso Aperture straordinarie: 9, 10 e 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno
Sede espositiva: Magazzino delle Idee, Corso Cavour 2, Trieste. T. +39 040 3774783 | info@magazzinodelleidee.it
Info complete al sito: www.magazzinodelleide

Annamaria Castellan

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