Quale fratellanza? Una riflessione a partire dalla questione dei migranti

Trieste – A questo punto si deve ricorrere all’etimologia esatta di certi vocaboli pubblicamente storpiati. Si fa presto ad esempio a parlare di fratellanza, senza capire la vastità di tale termine.

Campeggia in questo oggi denso di confusione anche nel linguaggio, il pensare alla fratellanza come ad una categoria minuscola, ristretta, piccola, da circolo di amici in serate piacevoli e festose.

La parola fratellanza nasce e cresce storicamente con l’annunzio del cristianesimo, prima la si estendeva al massimo al proprio popolo, ma appunto prima, dopo quell’annunzio invece, essa straripa, come un fiume in esondazione, diventa incontenibile, diventa universale, non la si può più chiudere in una bottiglietta o in un flaconcino ad uso spray (come ha detto Papa Francesco).

Eppure l’antica indole a fuggire dall’universale, tipicamente precristiana, e di limitarne la portata, restringendone l’azione, ritorna ciclicamente persino nel secolo dell’interconnessione universalistica.

La rivelazione cristiana allarga a dismisura la portata della fratellanza a tutti i popoli della terra e a tutti gli esseri umani viventi: “Non c’è nè greco nè giudeo, nè uomo nè donna” , dice San Paolo, il buon samaritano si ferma e soccorre un estraneo al suo popolo, perchè ovunque è giunto quello stile di vita, la comunità si è subito allargata e semplificata, sono cadute pareti, si sono rotte le dighe, si sono aperte le casseforti spirituali, e oggi, almeno in parte, anche i confini e le patrie. Uguaglianza e fratellanza infatti vanno a braccetto.

Ci sono invece, anzi sono ritornati in auge, alcuni inguaribili interpreti di una fratellanza impoverita, che tale non può essere per definizione, ovvero a circuito chiuso, con porte sbarrate, confini inviolabili, distinzioni tra etnie, tra chi è con noi e chi è contro di noi, e nuovi muri tra noi e chi è diverso da noi, insomma i “prescelti” incaricati a difendere il nostro presunto “buon vivere”, l’unico giusto, l’unico degno, l’unico che merita di praticare la fratellanza, ridotta spesso a familismo e a nazionalismo.

Così però si ripiomba nel trapassato remoto del precristianesimo, in cui il fratello era solo uno della tua patria e del tuo popolo. Il paradosso poi di questo revival sta nel fatto che chi oggi sostiene simili scorrette ed inaccettabili distorsioni teologiche, educative, sociali e politiche, lo fa addirittura in nome di quella rivelazione cristiana, che dice invece ben altro.

Quella rivelazione aveva infatti fatto piazza pulita di ogni equivoco lessicale, dando il vero e giusto rilievo ad una novità esistenziale, che, quando viene applicata, e comunque va detto che oggi per fortuna accade molto più di un tempo, rivoluziona la vita individuale e sociale, ponendo l’unico confine necessario a vivere e a convivere, ovvero quello tra umanità e disumanità.

Silvano Magnelli

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