Esce il nuovo docufilm di Paolo Ruffini “PerdutaMente” nelle sale del cinema Ariston di Trieste e del Visionario di Udine

Trieste – Un viaggio fisico lungo l’Italia, un viaggio e una immersione nelle emozioni e nei meandri di una malattia ancora “misteriosa” come l’Alzheimer, e nella sua unica cura, l’amore, è quello che ha compiuto l’attore e regista Paolo Ruffini per realizzare il suo ultimo docufilm “PerdutaMente” (2021, 76’ – produzione Vera Film e WelleSee), co-diretto con Ivana Di Biase e distribuito da Luce Cinecittà come film evento il 14-15-16 febbraio in una cinquantina di città.

Martedì 15 febbraio alle 18.00 al Cinema Ariston di Trieste la proiezione sarà introdotta dalla Presidente della Cappella Underground Chiara Barbo e dalla Presidente dell’Associazione De Banfield onlus Maria Teresa Squarcina. Al termine la Dott.ssa Antonella Deponte, coordinatrice di CasaViola, sarà a disposizione delle domande del pubblico in sala.

Il film sarà anche  in programma dal 14 al 16 febbraio al Visionario di Udine  (prevendita attiva online e presso la cassa del Visionario).  Martedì 15 febbraio alle 16.30 la proiezione sarà accompagnata da un commento a cura dell’Associazione Alzheimer Udine ODV che presenterà anche lo spot inedito che promuove la propria attività e “racconta” la panchina viola al parco Moretti di Udine.

Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, determinando decadimento fisico e cognitivo, perdita della memoria, della coscienza e della percezione del sé e della realtà. Paolo Ruffini – già autore, tra l’altro, di “UP&Down”, documentario sulla disabilità – percorre l’Italia per intervistare persone affette da Alzheimer e i loro familiari, i loro “Caregiver”, definiti “seconde vittime” della malattia, che si trovano ad affrontare un carico fisico ed emotivo enorme accompagnando i propri cari attraverso il doloroso cammino di questo morbo.

Dalla malattia di Alzheimer, ad oggi, non è possibile guarire, tuttavia è possibile curarla, nel senso di “prendersi cura” di chi si ama, e l’unica cura possibile è l’amore. Il centro narrativo del film non è la malattia, ma le emozioni e i sentimenti che legano i pazienti ai propri cari. Attraverso le interviste si raccontano diverse storie d’amore, e soprattutto diverse dimensioni dell’amore: quello tra compagni di vita, tra genitori e figli, nonni e nipoti, tra fratelli e sorelle. In questo viaggio, tra storie e sentimenti, mentre la memoria della realtà viene progressivamente sgretolata dalla malattia, resta invece la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame che i pazienti conservano con la vita che li circonda.

Si stimano in più di 1 milione in Italia le persone con malattia di Alzheimer, o un’altra forma di demenza, e si calcola siano circa 3 milioni i familiari che si occupano di loro. È ufficiale che l’80% dell’assistenza a queste persone è fornita proprio dai familiari o, in generale, dai cosiddetti “Caregiver”: nessun sistema socio sanitario – come spiegano gli esperti della De Banfield – potrebbe resistere a lungo senza il loro contributo. Grande parte delle persone affette da decadimento cognitivo vive, infatti, in casa: la demenza diventa dunque una condizione che coinvolge tutta la famiglia.

«Prima di iniziare questo viaggio sapevo poche cose sul morbo di Alzheimer», spiega Paolo Ruffini, «ovvero che è una malattia crudele, misteriosa, e legata alla perdita della memoria. Ma questo era “prima”. Esiste sempre un prima e un dopo in un’avventura, e in qualche modo questo film li definisce. Prima credevo, banalmente, che perdere la memoria significasse dimenticare le cose e i loro nomi, le persone, i volti, la dimensione del tempo. Durante il percorso ho compreso che Alzheimer significa molto più, perché la memoria non è semplicemente una scatola che contiene informazioni. La memoria è un documento dell’identità personale. Noi siamo la nostra memoria, e perderla significa perdere sé stessi. Attraversando l’Italia ho avuto il privilegio di incontrare persone sconosciute e straordinarie, e le loro storie segnate dall’Alzheimer: storie di dolore e disperazione, ma soprattutto storie d’amore. Quello che ho imparato è che dal morbo di Alzheimer – conclude il regista – non è possibile guarire, ma è possibile curare, se non la malattia, la persona, con l’amore. È proprio l’amore il protagonista di questo film, non la malattia. L’amore della persona malata, che non sa più chi sei ma sa di amarti».

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