Presentata a Trieste  la ricerca-azione “Io resto a casa” promossa dalla Conferenza Basaglia

Trieste – «Noi anziani in Italia siamo ormai un grande popolo con una grande domanda: non essere abbandonati, lasciati soli, sradicati dalla nostra storia. Gli anziani sentono come una condanna il vivere gli ultimi anni della loro vita collocati in luoghi anonimi.» Così il settantaseienne mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza alla popolazione anziana ha risposto al Presidente del Consiglio Mario Draghi, che gli ha chiesto di guidare un gruppo di lavoro a Palazzo Chigi per arrivare in due mesi a una legge delega che trasformi le politiche di assistenza agli anziani.

Un tema questo sempre più urgente, perché la vita si è allungata, ma è cresciuta anche la consapevolezza che non si invecchia tutti allo stesso modo: dipende dall’appartenenza sociale, dal reddito, dal tipo di lavoro svolto, dal contesto sociale e familiare.

Inoltre,  é un tema particolarmente sentito a Trieste, città dove  la percentuale degli over 65 é del 28,6% della popolazione presente e dove la pandemia ha evidenziato le criticità delle case di riposo. Infatti in città le case di riposo offrono circa 3000 posti letto e  hanno registrato il 61% dei morti di Covid a Trieste e provincia nel 2020, 435 in tutto di cui 266 ospiti di case di riposo. Numeri non di poco rilievo.

Per questo l’APS Copersamm-Conferenza per la Salute Permanente Mentale nel Mondo Franco Basaglia ha proposto e ottenuto di realizzare una ricerca-azione che ha indagato le opportunità che le persone anziane, specie se fragili e non autosufficienti, hanno a Trieste di rimanere nel loro contesto di vita, anche se non hanno una rete familiare e particolari disponibilità economiche.

Emerge, dopo un anno di lavoro, tanti confronti con gli operatori sociali e sanitari e le associazioni, con l’ascolto di tante storie direttamente dalla voce dei protagonisti,  che la casa di riposo non è l’unica soluzione, anche se è la più semplice e spesso la prima nella nostra testa. Le persone stanno meglio a casa loro, é un dato di fatto certo, perché, ovviamente, la casa cura e rassicura, ma a patto di poter contare su un welfare comunitario che sostenga in particolare chi ha più difficoltà e possa chiedere aiuto e  accedere ai servizi. I servizi non mancano nel nostro territorio, ma spesso la strada per raggiungerli è piena di ostacoli, a partire dal fatto che i contributi economici per supportare chi resta a casa sono inferiori a quelli per l’assistenza nelle case di riposo.

I risultati sono stati presentati nei giorni scorsi prima agli addetti ai lavori e poi alla cittadinanza dalla psichiatra Giovanna Del Giudice, presidente di Copersamm, e dalla sociologa Margherita Bono, ricercatrice della Cooperativa sociale “La Collina”,

Esistono tuttavia esperienze virtuose di domiciliarità inclusiva e partecipata, che la ricerca-azione ha messo in risalto, dimostrando che “restare a casa è possibile”. Trieste, si rivela quindi, un ottimo luogo per sperimentare  l’assistenza a domicilio, per prevenire il bisogno di cure per evitare esagerate ospedalizzazioni e il beneficio é anche  economico.

Queste esperienze, promosse dal servizio pubblico, dalla cooperazione sociale, dalle aziende pubbliche di servizi alla persona, in realtà riescono al momento ad offrire circa 75 posti, a fronte dei 3000 delle case di riposo, ma andrebbero potenziate e fatte conoscere, perché come ha affermato Isabella D’Eliso in rappresentanza della Comunità di Sant’Egidio «le convivenze rappresentano un’alternativa all’istituzionalizzazione e favoriscono valorizzandole le risorse informali del territorio (vicini, familiari, …).

Per questo motivo la Comunità di Sant’Egidio sta progettando, in collaborazione con il Comune di Trieste, una piccola convivenza solidale tra persone anziane.

Si tratta di un progetto pilota, che tiene conto delle numerose esperienze analoghe attivate dalla Comunità in Italia e in altri Paesi, volto a promuovere ulteriori iniziative simili.

A conclusione dell’evento di presentazione alla cittadinanza è intervenuta anche Nerina Dirindin, già direttrice generale del Ministero della Sanità e assessora alla Sanità della Regione Sardegna, ora componente della Commissione Paglia e della Commissione Turco, ha apprezzato il metodo utilizzato dalla ricerca, sottolineando che proprio «partire dall’ascolto é fondamentale e non è usuale, ma non basta avviare processi innovativi, bisogna prendersene cura, perché ci sono in tutta Italia rischi di regressione ».

Per informazioni si può scrivere a copersamm@gmail.com

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