Messaggio del vescovo di Trieste mons. Enrico Trevisi sulla situazione nelle carceri

Trieste – A seguito delle rivolta avvenuta presso la Casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste, sulla situazione delle carceri in Italia è intervenuto il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, con un messaggio che pubblichiamo integralmente.

Il messaggio del vescovo

La situazione dei carcerati in Italia è impressionante. Molto si è scritto. Ora occorre agire. Occorre invertire la tendenza di aumentare i reati a cui corrispondono pene detentive per inventare altre modalità di pene, che meglio corrispondono a quanto previsto anche dalla nostra Costituzione, dai Trattati Internazionali e dalle nostre Leggi.

Il sovraffollamento cronico, l’inadeguatezza strutturale di molte carceri, la mancanza di personale a tutti i livelli (dalla polizia penitenziaria, agli amministrativi, dagli educatori ai direttori…) sono solo alcuni dei macro problemi che si intrecciano. Io non sono il più competente per farne un’analisi e questo non è il contesto. Mi limito a dire perché dobbiamo mantenere alta l’attenzione sui carcerati, anche qui a Trieste. Sono pensieri a caldo.

Le persone sono in carcere perché non hanno rispettato la legge: ed ecco che è un controsenso se poi lo Stato non rispetta le Leggi che regolamentano il carcere e i carcerati, a partire dal fatto che la Costituzione prevede che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (Art 27). Purtroppo il sovraffollamento (per cui nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani, per la violazione dell’art. 3, sul divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti), l’inadeguatezza delle strutture e la impossibilità di sanificarle (ecco la presenza delle cimici che non si riescono a debellare), la mancanza del personale rendono le pene inumane. Il caldo in strutture sovraffollate rende tutto ancora più esasperante.

I detenuti sono persone assai vulnerabili: il dramma dei suicidi nelle carceri italiane (e in genere in tutte le carceri) ci dice che i detenuti sono più esposti alla disperazione, paradossalmente anche quando si avvicina la loro scarcerazione (quali speranze di ripresa può coltivare chi non ha avuto la possibilità di prepararsi una condizione di vita extra-carcere – un alloggio, un lavoro – che renda “sensato” l’impegno di non commettere più altri reati?).

Parliamo di persone che hanno sbagliato, e i reati commessi vanno perseguiti. Ma, appunto, parliamo di persone, la cui dignità umana permane, una dignità ferita, per la quale occorre impegnarsi in processi di riabilitazione-rieducazione e, dove possibile, di riparazione in favore delle vittime e delle comunità. Non dimentichiamoci delle possibilità della “giustizia riparativa”, che è una opportunità importante introdotta dalla “riforma Cartabia” (d.lgs 150, del 10 ottobre 2022) per restituire dignità e cittadinanza non semplicemente “pagando” ma ricostruendo quel che, violando persone o beni, è stato infranto. La pena, da sola, non incide sulla recidiva né sulla sicurezza: deve essere accompagnata da forme attive di impegno, da esperienze capaci di trasformare e di prendere le distanze dal male compiuto, capaci di rigenerare la capacità di contribuire al bene comune.

Gesù si è fatto vicino ad ogni persona fragile e vulnerabile (malati, disabili, bisognosi, peccatori, poveri…). È arrivato a dire che ogni volta che si soccorre uno di questi piccoli lo si fa a Lui (o non lo si fa a Lui). In quel contesto parla anche dei carcerati (Mt 25) da visitare: e la visita è espressione di prossimità, di premura, di cura… Gesù ci ha dato l’esempio nel non sottrarsi al restare accanto agli esclusi, agli emarginati. E addirittura – come condannato ingiustamente – si è fatto accanto anche ai ladroni: Lui al centro e i ladroni uno a destra e uno a sinistra. Noi dobbiamo imparare da Gesù, anche se le modalità vanno reinventate per il nostro contesto storico. Come minimo si tratta di umanizzare le carceri perché non siano scuole in cui si impara a delinquere ancora di più ma luoghi in cui le persone sono accompagnate a rigenerarsi a vita nuova.

Sono solo alcuni pensieri, che rimandano ad altre questioni assai intricate ma che necessitano che si apra il dialogo e il confronto. Come si è fatto in una piazza della democrazia nella scorsa Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Aprire il confronto e però agire subito per allentare la disperazione nei carcerati e la fatica immane del personale che lavora nelle carceri: personale che non possiamo abbandonare nella gestione di tensioni esplosive e ingestibili.

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