Laurea honoris causa ai presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor: i discorsi
Trieste – L’Università di Trieste ha conferito venerdì 12 aprile la Laurea Magistrale honoris causa in Giurisprudenza al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a Borut Pahor, già Presidente della Repubblica di Slovenia, due personalità che stanno contribuendo a scrivere la storia della frontiera adriatica.
La cerimonia si è svolta in Aula Magna, alla presenza del Magnifico rettore, della comunità accademica, delle autorità civili, militari, diplomatiche, religiose e degli studenti.
A motivare il doppio conferimento è, infatti, la politica di riconciliazione perseguita dai due Presidenti che ha reso l’area del confine orientale, segnata dalle ferite della storia del Novecento, un esempio di collaborazione tra popoli legati dalla comune appartenenza all’Unione Europea.
Questa la motivazione: “Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno saputo coraggiosamente ripudiare la prospettiva angusta dell’egoismo nazionalistico, per perseguire invece una politica di riconciliazione, retta sulla creazione e sul consolidamento di spazi e di simboli dedicati alla memoria collettiva, quale fondamento di autentica pace tra i popoli. Due statisti che hanno interpretato l’amor di patria in una dimensione europea alta, così contribuendo a trasformare la frontiera adriatica, da territorio di aspro conflitto etnico e culturale, ad area di dialogo, di cooperazione e di amicizia, nella comune coscienza dei diritti umani e nella luce delle libertà democratiche”.
Il testo della motivazione è stato letto in italiano dal prof. Gian Paolo Dolso, Direttore di IUSLIT, il Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione di UniTS che ha proposto il doppio conferimento della Laurea ad Honorem. La versione in sloveno è stata invece affidata alla professoressa Tereza Pertot.
I professori Davide Rossi e Fabio Spitaleri hanno dato lettura delle due laudationes.
“Compito del nostro Ateneo è costruire ponti e non muri, contribuire concretamente alla crescita sociale, culturale ed etica dei nostri giovani”, ha spiegato Roberto Di Lenarda, rettore dell’Università di Trieste. “In un momento storico come quello attuale, segnato da scenari di guerra, l’Università apre le sue porte, include, protegge e sostiene soprattutto i più deboli, ma deve essere rispettata nella sua autonomia di collaborazione per produrre scienza e sviluppare cultura, umana e sociale”.
“La scienza si produce facendo ricerca, in cooperazione anche competitiva con le altre Università e gli Enti di ricerca con cui progredire insieme e supportare le menti e le anime più avanzate anche in società che soffrono”.
Inserita nel più ampio contesto dell’allargamento dell’Unione europea ai Balcani occidentali e dell’azione politica e diplomatica condotta dai due Capi di Stato e dai loro predecessori Giorgio Napolitano e Danilo Turk, la celebrazione del 12 aprile conferma il ruolo dell’Università di Trieste come luogo di confronto e dialogo e costituisce una nuova occasione di incontro tra i due Presidenti, a dimostrazione della solidità di un rapporto proseguito anche dopo la conclusione del mandato di Pahor.
Negli anni sono state numerose, infatti, le iniziative che hanno visto protagonisti Mattarella e Pahor, quali la cerimonia “L’Europa luogo di superamento dei conflitti” nel centenario dell’unione di Gorizia all’Italia il 26 ottobre 2016 e l’incontro del 21 ottobre 2021 volto a celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica “Capitale europea della Cultura 2025”, un riconoscimento destinato ad accrescere il senso di unione delle due città, fino a trent’anni fa divise da un filo spinato.
Da ricordare come momento fondamentale della nuova stagione di relazioni tra Italia e Slovenia, modello di collaborazione per il continente europeo, anche il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020, con l’omaggio dei Presidenti ai luoghi simbolo delle tragedie dei totalitarismi.
Non è la prima volta che l’Università di Trieste conferisce ad un Presidente della Repubblica una laurea ad honorem: si ricordano Luigi Einaudi il 4 novembre 1954, in occasione del ritorno di Trieste sotto la sovranità italiana, e Antonio Segni nel 1963, alla soglia dell’istituzione e dell’avvio della Regione a statuto speciale.
La cerimonia è stata arricchita dall’esecuzione degli inni italiano, sloveno ed europeo a cura del Coro e Orchestra dell’Università degli Studi di Trieste, diretto da Riccardo Cossi. Hanno affiancato il Coro dell’ateneo alcuni componenti del Coro Vikra.
Al termine della cerimonia è stato anche eseguito l’inno del Centenario dell’ateneo “Sorprendi la sorte”, con testo di Marcela Serli.
Il testo integrale del discorso del presidente Sergio Mattarella
Magnifico Rettore, illustri docenti, care studentesse e cari studenti di questa Università, a tutti voi auguri per il secondo secolo di vita di questo Ateneo.
Caro Presidente e amico, Borut Pahor, Signor Ministro,
è motivo di grande prestigio ricevere, Honoris Causa, la laurea di Dottore in Giurisprudenza da parte di questo Ateneo. E ringrazio il Magnifico Rettore, il Corpo accademico, i Professori Dolso, Rossi, Spitaleri, la Professoressa Pertot.
Desidero esprimervi la mia riconoscenza, anche per l’opportunità di poter condividere questo riconoscimento con il Presidente Pahor, l’amico Borut.
A lui mi hanno unito anni di intensa collaborazione, ispirati ai valori e ai principi che si trovano alla base degli ordinamenti giuridici dei nostri Paesi e dell’Unione Europea.
Questa cerimonia mi offre anzitutto l’occasione per ringraziarlo, ancora una volta, per la sua amicizia, e per la visione politica da lui manifestata: ha impresso un segno profondo nella storia del suo Paese, della Regione balcanica, dell’intera Europa.
Un’opinione, questa, diffusa, ampiamente condivisa.
Lo testimoniano i numerosi riconoscimenti che ha raccolto in questi anni e le iniziative politiche internazionali che ha lanciato e che proseguono, anche dopo il termine del suo mandato, come il Processo di Brdo-Brioni.
In questi anni, Slovenia e Italia hanno sviluppato un dialogo costante e fruttuoso, alimentato dalla consapevolezza che la comune adesione e appartenenza alla casa europea e ai valori euro-atlantici rappresentino quell’elemento identitario che rafforza nei nostri Paesi lo sguardo verso il futuro.
La riconciliazione con la storia non ci libera dal dovere di conoscerla e di ricordare, come Borut Pahor ha più volte sottolineato. Non conduce a letture di comodo del passato né relativizza le responsabilità, ma ci consente di coltivare sentimenti di rispetto per le sofferenze di ciascuno, in luogo di nutrire rancore e contrapposizione.
Si iscrive in questo processo il Giorno del Ricordo, istituito dal Parlamento italiano nel 2004 e che richiama, in particolare, le sofferenze delle popolazioni istriane-giuliane-dalmate.
Ricordare gli avvenimenti, che hanno così profondamente inciso con dolore sulla vita delle popolazioni al confine orientale, significa anche rispettare i patimenti altrui.
Le ferite causate dalle tragedie del Novecento non si possono cancellare.
Le guerre combattute senza alcun rispetto per le popolazioni civili, le violenze e gli esodi, hanno colpito e sconvolto l’Europa, in balia di una lotta combattuta da nazionalismi esasperati.
La Seconda Guerra Mondiale – che quei nazionalismi hanno scatenato – ha distrutto la vita di milioni di persone nel nostro continente, ha disperso famiglie, ha forzato a migrazioni.
Le storie nazionali si sono immerse in una storia globale.
Le vicende dell’intero continente e del mondo hanno incontrato grandi sofferenze. Occorre non dimenticarlo.
Volgendo lo sguardo al cammino compiuto in Europa, appare fuori da ogni dubbio che la Repubblica di Slovenia e la Repubblica Italiana debbano essere orgogliose delle mete raggiunte in questi anni.
Incontrarsi non è stato scontato e non sono mancate incomprensioni lungo il percorso; difficoltà che, tuttavia, non hanno impedito ai nostri Paesi di progredire costantemente, dando vita a un partenariato profondo e articolato che ci vede lavorare fianco a fianco sui temi prioritari dell’agenda europea e internazionale.
Non è stato agevole. Tanto più assume valore quanto realizzato dai nostri Paesi.
Questi territori, segnati prima dall’aggressione del Terzo Reich e del Regno d’Italia al Regno di Jugoslavia nell’aprile del 1941, poi sottratti alle sovranità nazionali precedenti e riuniti dal regime nazista in un’unica “Adriatisches Kunstenland” nel 1943, hanno drammaticamente sofferto, alla conclusione della guerra, anche le sue conseguenze, tra queste quelle inferte dal regime comunista, e hanno faticato, nel dopoguerra, a trovare un equilibrio.
È stato, il nostro, un viaggio in comune, nutrito da apporti importanti.
La storica visita a Lubiana del Presidente della Repubblica, Cossiga – primo Capo di Stato straniero a recarsi in Slovenia indipendente – il 17 gennaio 1992 e l’adozione della “Dichiarazione Congiunta sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Slovenia e la Repubblica Italiana” hanno dischiuso le porte al dialogo, sottolineando fin dall’inizio la comune volontà di lavorare assieme per una nuova Europa, fondata su democrazia, pace e unità.
Tra pochi giorni verranno celebrati i vent’anni dell’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, per il quale non fu indifferente il confronto sviluppatosi tra Lubiana e Roma.
La volontà dell’Europa di liberarsi del retaggio del passato – che l’aveva vista teatro di guerre di potenza – aveva trovato momenti significativi nei due passaggi storici dell’Atto Finale di Helsinki nel 1975 e della Carta di Parigi nel 1990, redatta nell’ambito del processo della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e che prendeva atto della fine della “guerra fredda”.
Leggiamo dall’incipit di questo documento, sottoscritto dai 35 Paesi partecipanti:
“L’era della contrapposizione e della divisione dell’Europa è terminata. Dichiariamo che per l’avvenire le nostre relazioni saranno basate sul rispetto e sulla cooperazione… È questo il momento di realizzare le speranze e le aspettative nutrite dai nostri popoli per decenni: l’impegno costante per una democrazia basata sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale nonché un’uguale sicurezza per tutti i nostri Paesi”.
A confronto con quanto accade da oltre due anni, è amaramente lecito chiedersi come sia stato possibile dimenticarlo.
Slovenia e Italia hanno sempre avuto come riferimento quell’orientamento, sancito anche nel Memorandum di cooperazione firmato il 14 maggio 2007 con l’obiettivo di promuovere l’Alto Adriatico quale polo di crescita, sviluppo e integrazione, sottoscritto, con grande significato, a Bruxelles.
In questa sede, per il valore del loro apporto, desidero citare le iniziative di cooperazione dell’Università di Trieste con le omologhe università slovene: la crescita di ricerca e formazione in comune è un’altra chiave di successo.
Questo vale per tutti i meridiani, ovunque, in qualunque direzione nel mondo.
Le Università sono sempre state, oltre che sede di approfondimento e trasmissione del sapere, luogo del libero dibattito, della critica e anche del dissenso nei confronti del potere. Dibattito, critica e dissenso collegati tra gli atenei di tutti i paesi, al di sopra dei confini e al di sopra dei contrasti tra gli Stati.
Se si recide questo collegamento, questo prezioso scambio di riflessioni, di collaborazioni, di esperienze, non si aiutano i diritti, non si aiuta la libertà né la pace, ma si indebolisce la forza del dibattito, della critica, del dissenso.
Si aiuta il potere, quello peggiore, che ha sempre cercato di tenere isolate le università del proprio Paese, di impedirne il collegamento con quelle oltre confine.
Tra le tappe che hanno scandito la crescita dei rapporti in questa regione vorrei richiamare quella che vide protagonista Trieste, con il Concerto dell’Amicizia, tenutosi il 13 luglio 2010 alla presenza dei Capi di Stato di Slovenia, Croazia e Italia.
La Dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, del Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, del Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, espresse “la ferma volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo storico, segnato da guerre tra Stati ed etnie”.
Dieci anni dopo, con la visita congiunta alla foiba di Basovizza e al monumento ai fucilati del Tigr, con il Presidente Pahor abbiamo voluto testimoniare che ciò che ci unisce oggi è più forte di ciò che ci ha separato in passato e che, insieme, sappiamo commemorare le vittime di quegli anni sanguinosi.
Ci sono luoghi che nella storia assurgono a emblemi. La restituzione del palazzo del “Narodni Dom” alle associazioni della minoranza slovena in Friuli Venezia Giulia sancita in occasione del centesimo anniversario del suo incendio – e ringrazio questa Università per il contributo rilevante arrecatovi – rappresenta la presa d’atto di una maturazione – in una giornata storica, come la definì il Presidente Pahor – che afferma altresì il reciproco impegno per la tutela e la promozione delle minoranze, in ossequio – per quanto ci riguarda – alla nostra Costituzione e alla Carta Europea dei diritti fondamentali.
Del resto, si consideri che la somma delle “minoranze” all’interno dei Paesi dell’Unione europea supera l’ampio numero di 50 milioni di concittadini europei.
Lungo il percorso compiuto in questi trent’anni, Slovenia e Italia hanno saputo abbattere barriere e ostacoli, riuscendo a superare la nozione stessa di confine. Al suo posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, di una cultura condivisa che si nutre delle diversità e ne fa punto di forza.
Con la designazione congiunta di Nova Gorica e Gorizia quale “Capitale europea della cultura nel 2025”, è stata scritta una nuova importante pagina della nostra storia. Con il Presidente Pahor abbiamo celebrato questo traguardo, visitandole assieme nell’ottobre del 2021. Quella piazza, che fu posto di frontiera, raffigura il confine, anche grazie allo spazio Schengen, quale luogo di incontro e di unione.
Mi auguro che questa esperienza possa essere di ispirazione per altri territori transfrontalieri nel continente europeo, dove il concetto di confine è tuttora vissuto in modo conflittuale, come elemento di discriminazione.
L’integrazione slovena nelle istituzioni europee è stato un evento di successo straordinario. Nell’arco di una generazione Lubiana ha compiuto un percorso che oggi la fa sedere con autorevolezza nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il suo esempio costituisce riferimento per i Paesi oggi candidati all’ingresso nella UE. Le dinamiche geo-politiche in Europa hanno conferito slancio rinnovato al processo di completamento dell’Unione.
Il progetto europeo è più che mai imprescindibile e urgente, alla luce anche della brutale e ingiustificabile aggressione della Federazione Russa ai danni dell’Ucraina.
Ciò vale non soltanto nei confronti di Ucraina, Moldova e Georgia, ma soprattutto dei Paesi dei Balcani Occidentali che oltre venti anni addietro hanno iniziato questo impegnativo percorso di integrazione.
Il mondo ha bisogno di pace, stabilità, progresso, e l’Unione Europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale.
La strada percorsa da Slovenia e Italia, in questi trent’anni, dimostra come il processo di riconciliazione, il ritrovarsi su un percorso comune, possa trovare una ricomposizione più efficace all’interno della famiglia europea, attraverso il consolidamento della fiducia reciproca generata dalla comune esperienza che si sviluppa all’interno delle istituzioni europee.
È in seno ad esse, nel lavoro fianco a fianco, che i nostri popoli accrescono il senso di comunanza di obiettivi, di appartenenza.
In quella quotidiana condivisione emergono i tanti fattori che ci uniscono, sbiadiscono le differenze e le incomprensioni.
L’Europa insomma è, allo stesso tempo, sia il frutto dei processi di riconciliazione tra Paesi che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano combattuto in schieramenti contrapposti, sia l’acceleratore di indispensabili composizioni delle divergenze, retaggio del passato, e che abbiamo dimostrato di saper superare per costruire un effettivo e duraturo futuro di pace.
So che il Presidente Pahor ha deciso di continuare il suo impegno personale per i Balcani Occidentali e a favore del processo per una indispensabile e veloce integrazione europea dell’intera regione.
Anche per questo lo ringrazio.
L’Europa ha bisogno della sua esperienza e della sua saggezza.
Grazie, Magnifico Rettore.
Le parole dell’ex presidente Borut Pahor
L’ex presidente della Slovenia Borut Pahor, pronunciando la sua lectio magistralis, ha dichiarato di aver ricevuto il premio con grande umiltà, e di essere stato particolarmente gratificato dalla motivazione del premio e dal fatto di riceverlo in contemporanea con l’amico Mattarella.
“Sono consapevole che i miei risultati come statista nel perseguire la riconciliazione, la coesistenza, il buon vicinato e l’amicizia nello spirito europeo sono radicati in molte generazioni di cittadini sloveni e italiani. L’attuale promettente comprensione e rispetto tra sloveni e italiani poggia sulle loro possenti spalle”, ha aggiunto.
Il gesto congiunto più significativo di Pahor e Mattarella è stata la visita ai monumenti alle vittime del Fojb e ai quattro antifascisti sloveni e croati fucilati a Bazovizza il 13 luglio 2020, quando hanno anche firmato un accordo sulla restituzione del Narodni Dom alla comunità slovena.
“Questo atto non era necessario. È stato persino rischioso, perché ha sfidato i pregiudizi fortemente radicati tra le due comunità nazionali”, ha ricordato Pahor. Per anni, ha detto, la maggior parte degli italiani è passata davanti al monumento ai quattro eroi senza dedicare loro l’attenzione che meritavano, così come la maggior parte degli sloveni è passata davanti al monumento alle vittime della Fojb. L'”indifferenza e il campanilismo ideologico”, ha aggiunto, sono stati ancora più evidenti dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione storico-culturale italo-slovena nel 2000.
Il rapporto aveva evidenziato come le politiche fasciste avessero ottenuto il loro effetto più deleterio quello di inculcare nelle menti degli sloveni l’equiparazione dell’Italia al fascismo, e che gli abitanti filo-italiani delle campagne giuliane hanno vissuto l’occupazione jugoslava come il momento più buio della loro storia, a causa dell’ondata di violenza e delle centinaia di condanne eseguite frettolosamente, la maggior parte delle cui vittime sono state gettate negli abissi del Carso.
Pahor ha affermato che i risultati ottenuti dal gesto congiunto dei due presidenti dimostrano che il coraggio di entrambi era fondato sulla verità.
“La guerra non è inevitabile. Abbiamo sempre la possibilità, e anche il dovere morale, di cercare i modi per rafforzare la pace e la sicurezza, la democrazia e il benessere. Abbiamo dimostrato che, insieme, possiamo farlo per un comune futuro europeo”. Ha detto ancora Pahor.
Per proteggere la pace e la sicurezza, per il bene dei nostri figli, non abbiamo altra scelta se non continuare a dimostrare di volta in volta a noi stessi e al mondo intero che una pace duratura europea e mondiale è necessaria e possibile”.
“Tutto ciò che abbiamo fatto con l’amico e presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ha spiegato – lo abbiamo fatto perché crediamo nella pace duratura e nel sacro dovere degli uomini di Stato di adoperarsi in suo favore al meglio delle loro capacità. Questo è il loro dovere morale. Come ci siamo confidati quando quel lunedì 13 luglio 2020 rientravamo a casa, a Roma e a Lubiana, sentivamo un profondo senso di appagamento e soddisfazione”.
“È stato confermato ancora una volta che la pacificazione e la riconciliazione sono possibili solo attraverso l’eterna ricerca della verità, il suo riconoscimento e il perdono”.