La storia. Una maestra di vita (quasi) per tutti
Trieste – Che la storia sia maestra di vita è una frase che quasi chiunque si è sentito dire (o ha detto) almeno una volta. Quando si sbuffa(va) sui libri, quando si doveva imparare dall’esperienza degli antichi, quando si tentava di non ripetere gli errori del passato.
La frase completa, da quando Cicerone la scrisse circa ventuno secoli fa, suona così: La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità. E, infatti, molto spesso ci si riempie la bocca di parole come memoria e verità.
Però accade che la storia sia magistra vitae ma non sempre, non ovunque e non per tutti. Perlomeno non a Palermo, non per gli studenti della professoressa Rosa Maria Dell’Aria (63 anni e 40 di insegnamento), non per l’attuale governo né per l’ufficio scolastico che l’ha sospesa per quindici giorni senza stipendio. Un provvedimento più grave dell’avvertimento scritto e della censura, secondo il contratto collettivo nazionale.
I fatti sono noti: il reato dell’insegnante è di non aver vigilato su un gruppo di alunni che ha accostato, in una serie di diapositive, le leggi razziali emanate nel 1938 con il Decreto sicurezza in via di approvazione dal parlamento italiano. E poi la conferenza di Évian – convocata per stabilire le quote di accoglienza dei rifugiati ebrei provenienti dalla Germania nazista – con una foto dell’incontro di Innsbruck del luglio 2018 tra i ministri della Giustizia e dell’Interno dell’Unione europea per parlare della questione dei migranti.
L’occasione del fatto considerato illecito e sanzionato è accaduto in una normale mattinata scolastica per celebrare la Giornata della memoria. Di una memoria che, evidentemente, secondo la linea politica dell’attuale governo, non può essere esercitata assieme all’interpretazione critica dei fatti passati e presenti. La sospensione dell’insegnante palermitana è un avvertimento che parla chiaro: non si può interpretare liberamente e criticamente un fatto alla luce del passato. Non si possono vedere somiglianze sostanziali tra eventi nonostante la distanza formale o temporale. Non si possono avere idee difformi dalla linea politica del governo in carica. Non in una scuola che dovrebbe essere il luogo di esercizio dello spirito critico, della tolleranza e dell’inclusione.
Non in una scuola, che dovrebbe essere il luogo in cui si sviluppa la cittadinanza attiva, il diritto, l’attitudine alla comunicazione e al dibattito. Tematiche, queste ultime, presenti nel disegno di legge sull’Educazione civica che lo stesso Matteo Salvini vanta come una delle promesse mantenute dal suo governo.
Se dovesse prevalere la linea che ha portato alla censura di Dell’Aria, il risultato naturale sarebbe di mettere al rogo gran parte degli studi di critica storica. La pena per chi contravviene questo indirizzo è chiara e rappresenta un precedente pericoloso per la libertà della ricerca e dell’espressione. La conseguenza più pericolosa è quella che mette in discussione la libertà di opinione e la libertà di insegnamento. La libertà di pensiero.
È vero che Matteo Salvini – in maniera molto accorta e avveduta – ha dato a intendere di dissociarsi dal provvedimento che ha colpito Dall’Aria e si è già augurato che l’insegnante possa essere reintegrata nel ruolo e di poter spiegare di persona la distanza tra il suo decreto e le leggi razziali. Infatti è questo che ci si aspetta: un confronto. Ma libero e dialettico, senza il timore che la scure della censura punisca chi esercita un diritto costituzionale e culturale.
In ogni caso, il messaggio che il governo ha voluto dare è chiaro.
Assieme a quanto accade nelle piazze, non è un caso che a essere colpita sia anche la scuola attraverso una sua docente. La scuola rimane il luogo dove si formano le libere coscienze. I docenti sono gli operatori di questo processo. Un processo che, per definizione, non può essere asservito o assoggettato a una dottrina politica. Perche questo, la storia l’ha insegnato, si chiama totalitarismo.
Roberto Calogiuri