“La prova dei 9” mostra di giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti
Pordenone – Una scommessa sul futuro dell’arte, a partire dai giovani interpreti che hanno sin d’ora il compito di tracciare le strade espressive per gli anni a venire: questo il presupposto de “La prova dei 9”, la nuova e avvincente mostra ideata e promossa dal Centro Iniziative Culturali di Pordenone, in stretta partnership con l’Accademia di Belle Arti di Venezia, a cura di Angelo Bertani, Mirella Brugnerotto e Cristina Treppo.
Allestita nelle sale della Galleria Sagittaria del Centro Culturale Casa Zanussi di Pordenone, la mostra vede protagonisti i giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti Ludovica Busolini, Maddalena Granziera, Alessio Guarda, Camilla Leonardi, Serena Mabilia, Marie-Pierre Murigneux, Alex Ortiga, Giada Pianon, Eva Chiara Trevisan.
«Pensando di esplorare i territori della creatività dei giovani artisti, viene naturale far riferimento alle Accademie di Belle Arti, laboratori in prima linea nella definizione di nuove strade, pur nella consapevolezza della tradizione del moderno – spiega il curatore, Angelo Bertani – e per il Nord Est italiano è imprescindibile il riferimento all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sia per la sua storia che per il suo ruolo culturale».
Nell’occasione di questa mostra l’attenzione per questa mostra si è appuntata sul Corso di Decorazione A dell’Accademia di Belle Arti veneziana, fra i più attivi nel promuovere fra gli studenti una concezione aperta, sperimentale e non rigidamente normativa dell’arte. L’esposizione allestita nelle sale della Galleria Sagittaria mette appunto “alla prova” nove giovani artisti che presentano le loro opere di taglio prevalentemente pittorico.
Ogni novità racchiude la consapevolezza di quanto è stato fatto in passato e le opere esposte rivelano influenze che provengono dalla migliore tradizione del moderno: gli incroci e attraversamenti linguistici riconoscibili nei lavori dei nove giovani artisti sono frutto di conoscenze formative e al tempo stesso costituiscono i fondamenti da cui prende origine ogni loro nuova proposizione pittorica.
La mostra sarà inaugurata sabato 11 marzo alle 17.30. Alla vernice, in programma nell’Auditorium Lino Zanussi, interverranno gli artisti e i curatori con la presidente del CICP Maria Francesca Vassallo.
“La prova dei 9” sarà visitabile con ingresso libero fino al 7 maggio 2017, dal martedì alla domenica, dalle 16 alle 19. Info www.centroculturapordenone.it
Sostengono l’iniziativa la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia con il Comune di Pordenone, Crédit Agricole FriulAdria, Fondazione Friuli ed Electrolux.
Gli artisti dell’Accademia di Belle Arti
Ludovica Busolini parte indubbiamente dalla lezione dell’informale storico, ma lo declina secondo le suggestioni della macchia di colore che ora si addensa ora invece si diluisce, secondo le fascinazioni che provengono dalla materia stessa e però pure dall’inconscio.
Le sue opere talvolta sembrano prendere quasi le sembianze di macchie di Rorschach in cui è la pittura a rivelarsi per vie indirette fino a evocare qualcosa di organico o, senza soluzione di continuità, qualcosa che pare tratto dal mondo minerale: ma è essenzialmente la fluidità della mano e del pensiero creativo che di volta in volta conduce l’artista, e noi con lei, in mondi seducenti sempre diversi.
La capacità del colore di creare spazio è il carattere centrale del lavoro di Maddalena Granziera.
Nelle sue carte la realtà concreta del mondo si trasforma nella realtà diversamente concreta della pittura che è percorribile solo grazie alla sensibilità visiva adeguatamente educata: il tonalismo di fondo è riconducibile innanzi tutto all’autorevole tradizione veneziana, che ha saputo creare lo spazio liberandosi dagli impacci delle complesse macchine della prospettiva lineare, ma ad esso si accompagna la conoscenza adeguata di una certa pittura astratta del ‘900 che ha ribadito il valore autonomo e non mimetico dell’arte. Ecco che allora le suggestive opere di Granziera ci appaiono ad un tempo dimensioni spaziali della memoria visiva e della cultura come filtro della realtà.
Anche Alessio Guarda parte dalla percezione della realtà che ci circonda, ma la sua visuale si allarga al paesaggio per scoprirvi le contraddizioni della nostra epoca: vi è nelle sue opere un’eco lontana del sublime romantico e tuttavia questa evocazione culturale viene subito travolta dalla constatazione che l’idillio è ormai impossibile proprio a causa dell’uomo che, per la sua irresponsabile avidità, ha reso progressivamente impercorribili certe regioni dell’animo umano. Del resto i lavori di Guarda proprio questo vogliono mettere il luce: la continua metamorfosi del paesaggio come specchio e metafora della continua metamorfosi dell’uomo contemporaneo.
E ancora di metamorfosi si deve parlare a proposito delle opere di Camilla Leonardi solo che la trasfigurazione non riguarda più, come dato di partenza, il paesaggio naturale bensì quello domestico di epoca postindustriale.
Come lei stessa ci fa osservare nel suo breve testo in catalogo, l’affascinante e misteriosa dimensione dell’universo è al centro dell’attenzione di Serena Mabilia. Per realizzare le sue opere l’artista è partita dall’osservazione di un elemento minimo tratto dal mondo minerale od organico, ma in quel frammento del nostro mondo ha riscoperto la fascinazione stessa del cosmo. Nella serie Come pietre preziose la pittura su plexiglas si fa traslucida per diventare spazio e definire ulteriori spazialità: che possono condurci nelle profondità dei colori e della materia o viceversa, ma non è molto diverso, verso il cuore insondabile di qualcosa che ci sovrasta e possiamo solo immaginare.
La materia, anzi il materiale è il punto di partenza programmatico di Marie-Pierre Murigneux. L’artista dichiara esplicitamente di non voler partire da una ricerca stilistica bensì dalle suggestioni che di volta in volta i materiali fanno scaturire, e però quella che sembra essere una dichiarazione anti-poetica in realtà delinea comunque una poetica: che spesso nasce da una riscoperta di antiche tecniche tradizionali, rivisitate con sensibilità contemporanea. Ne scaturiscono lavori in cui emergono suggestioni arabe e veneziane, mediterranee e adriatiche, in cui però la luce implode per lasciare unicamente la traccia suadente della propria pelle.
Una sorta di esotismo dell’immaginazione pare caratterizzare talvolta il lavoro di Alex Ortiga: per lui le immagini sono una specie di fascinosa giungla salgariana da attraversare ed esplorare. Il groviglio a volte si fa inestricabile, ma al nostro artista sembra che interessi proprio tale intreccio, tale viluppo e vi si inoltra con coraggio e determinazione.
Alla fine per lui tutte le tecniche sono utili per uscire dal dedalo di immagini che il mondo reale e quello virtuale ci offrono e portare a casa testimonianze iconiche di tale viaggio. La foresta di simboli, di letteraria memoria, si è trasformata ormai in una sterminata foresta di immagini contaminate e contaminanti da dominare con ogni mezzo.
Un paesaggio certamente più essenziale è quello percorso da Giada Pianon, un paesaggio che a tratti può apparire inospitale come quello descritto dagli esploratori che un tempo si sono spinti fino alle terre più remote del mondo e hanno raggiunto lande desertiche; e forse in queste immagini possiamo scorgere perfino i riverberi della poesia dell’ultimo Leopardi.
Negli ambiti delineati dalle opere dell’artista domina una Natura incontaminata non ancora abitata dagli uomini e indifferente: una luce algida e tagliente la percorre e ne evidenzia la fredda bellezza di cristallo. E’ questo il mondo delle forme dell’arte, un mondo mentale da cui ci sia aspetta conforto, ma da cui talvolta si viene respinti. L’artista è sempre un esploratore che si confronta con il deserto e lo popola di forme.
La sublimazione della forma in luce costituisce infine il nucleo della ricerca di Eva Chiara Trevisan.
L’artista parte certamente da suggestioni pittoriche della tradizione (il tonalismo veneziano, la luminosità inedita degli impressionisti, l’indagine sull’autonomia del colore portata avanti dall’astrattismo, le declinazioni più recenti di una certa pittura analitica) ma perviene a un grado più originale di analisi quando incentra la sua attenzione (e naturalmente quella del riguardante) sull’apparire e sul dissolversi della forma nel campo cromatico dell’opera.
In questo si può perfino essere d’accordo con lei nel vedere traccia di un processo alchemico, ma soprattutto risulta interessante la sua indagine sul limite percettivo e culturale del vedere e non vedere in un’epoca, come la nostra, in cui si mostra ogni cosa in verità per nascondere l’essenziale.
(dal testo in catalogo di Angelo Bertani)