La crisi dell’industria a Trieste, un male che viene da lontano. L’allarme dei sindacati

Trieste – La crisi industriale che ha investito Trieste negli ultimi anni non è un fenomeno isolato né recente. Le difficoltà vissute da aziende come Colombin, Principe, Cartubi, Wärtsilä, Flex, Tirso e, più di recente, U-Blox, rappresentano il culmine di un declino che affonda le radici nel passato.

Questo tema è stato approfondito anche da un servizio della RAI regionale, trasmesso tre giorni fa, in cui Antonio Rodà, segretario provinciale della Uilm, ha definito la città come un vero e proprio “reperto di archeologia industriale”.

Secondo Rodà, il processo di desertificazione industriale è iniziato nel 2012 con la crisi della Sertubi, a cui sono seguite altre chiusure dolorose: la Ferriera nel 2020, la vertenza Flex ancora aperta dal 2021, la Wärtsilä nel 2022 e, nel 2025 appena iniziato, l’annuncio di U-Blox di licenziare 200 dipendenti.

Nonostante l’assessore regionale alle attività produttive, Sergio Emidio Bini, sostenga che Trieste rimanga attrattiva grazie a investimenti come quelli di Barilla, BAT e Illy; che MSC, rilevando la Wärtsilä, abbia previsto il mantenimento dei posti di lavoro; che il porto continui ad assumere personale: con tutto ciò, la preoccupazione per il futuro industriale della città resta forte, come ha sottolineato il direttore generale di Confindustria Massimiliano Ciarrocchi.

I sindacati di Cgil, Cisl e Uil in un recente comunicato stampa hanno lanciato un appello perché si affronti la questione in modo sistematico, evidenziando la mancanza di un piano strategico e l’assenza di politiche industriali incisive.

Già nel 2016 le organizzazioni denunciavano la necessità di un coordinamento istituzionale per gestire il tessuto economico e produttivo della città, allora riconosciuta come area di crisi industriale complessa.

L’accordo del 2017 tra Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Friuli Venezia Giulia e altri enti locali per la riqualificazione e il rilancio dell’industria a Trieste sembrava promettente. Tuttavia, i risultati non sono stati sufficienti a invertire la tendenza.

Il ridimensionamento della manifattura e la transizione verso un’economia basata principalmente sulla logistica hanno lasciato scoperti settori produttivi importanti.

Il declino industriale di Trieste è un campanello d’allarme per l’intero Paese. La città, con il suo porto strategico e le sue risorse accademiche e tecnologiche, ha ancora un grande potenziale. Per evitare che questo si disperda, è necessario un intervento deciso, che combini politiche industriali innovative, attrazione di nuovi investimenti e riqualificazione dei lavoratori.

Senza un cambio di direzione, Trieste rischia di perdere il suo ruolo di polo industriale, diventando un triste esempio delle conseguenze di una gestione inefficace delle crisi economiche e della scarsa lungimiranza della politica.

(Foto d’archivio: la manifestazione sindacale risale al 2022).

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