La 107 non si cancella! La scuola è “buona” così
Trieste – Che la legge cosiddetta della “buona scuola” non sia stata anche una buona idea per il governo Renzi è ormai accertato dallo stesso ex premier che l’ha voluta (e che ogni giorno deve misurare la flessione del consenso con i sondaggi e i risultati elettorali).
Alla triste conclusione era già approdato De Luca alla fine dell’anno passato, quando analizzava l’amaro (per lui) esito del referendum costituzionale. E da quella volta le cose non sono migliorate.
Se abbiamo fatto arrabbiare così tanta gente, vuol dire che sulla Buona scuola qualcosa abbiamo sbagliato ha detto Renzi, e più volte, anche nel tour di presentazione del suo libro. Ha sottolineato, come ha fatto anche Fedeli, che qualcosa “deve non aver funzionato nella comunicazione” con gli insegnanti. Ma non solo nella comunicazione, visto che – nonostante le assunzioni e i milioni spesi – è una riforma odiata da tutti.
La legge che doveva essere “rivoluzionaria”, per i suoi risvolti accentratori e autoritari, ha contribuito a rivoluzionare il favore di cui Matteo Renzi ha goduto presso parte dell’opinione pubblica italiana inclusa la gran parte dell’esercito di insegnanti che questa legge hanno sperimentato direttamente.
Perciò è molto rilevante la dichiarazione che Malpezzi, responsabile scuola del PD, ha rilasciato pochi giorni fa proprio sulla legge 107, ovvero su uno dei suoi cardini. Così parlò anche Fassino, che vi aggiunge anche il Jobs Act trasformando il tutto in una dichiarazione di programma politico.
Il Pd continua a difendere le sue creature.
Per la precisione Malpezzi, sollecitata dai sindacati a rispondere sull’oggetto della contrattazione ormai prossima, ha parlato di potenziamento per la scuola dell’infanzia, di incremento del personale amministrativo e di emendamenti considerati prioritari e compresi nella legge di Bilancio al vaglio del Senato.
Poi ha accennato a una possibile revisione del sistema di aggiornamento e formazione dei docenti, fermo restando che la materia non sarà oggetto del tavolo di contrattazione.
Nonostante tutto, su un punto è stata inflessibile: ha precisato che non ci sarà nessuna modifica di uno dei pilastri della legge 107, di uno tra gli argomenti più aspramente biasimati: il dispositivo che attribuisce il bonus premiale dei docenti. “Il sistema non si tocca“ ha ribadito.
Di fronte a una clamorosa perdita di favore politico, il PD non pensa a modificare proprio uno dei punti che ha prodotto il dissenso. Si vuole lasciare immutato un dispositivo che, oltretutto, è interpretato e adattato in modo diverso in ogni scuola, secondo come il dirigente si pone di fronte alla legge e di fronte al comitato per la valutazione dei docenti, l’organo che dovrebbe occuparsi della premialità.
Che ogni preside possa fare a modo proprio e possano essere disattesi gli organi di indirizzo politico e sindacale, è contenuto nella legge 107 e nelle norme dell’autonomia scolastica (da cui la fama di presidi sceriffo). Infatti il meccanismo premiale varia da scuola a scuola.
L’esperienza ha dimostrato che il comitato per la valutazione dei docenti possiede i difetti del tribunale senza vantarne i pregi. Ha lenito molti pruriti giustizialisti: “Finalmente è arrivata la selezione meritocratica anche nella scuola” si è sentito dire. Ma il “comitato” non è infallibile e può non essere equo e imparziale, può dividere anziché unire, può favorire rivalse e antipatie. E il rischio è grosso.
Questo spiega perché, in molte scuole italiane – luoghi tradizionali di inclusione e cooperazione – i docenti si siano rifiutati di scegliere i membri del comitato. Non per paura di essere valutati, ma per prendere le distanze da criteri e procedimenti che appaiono inopportuni se non addirittura dannosi, soprattutto, per le loro conseguenze.
La scuola è già divisa: presidi contro insegnanti, precari contro assunti a tempo indeterminato, neoassunti “potenziati” contro veterani. Adesso ci saranno anche “buoni” contro “cattivi”.
Infatti la legge è stata chiara nel definire composizione, meccanismo premiale ed entità del premio. Nella teoria sembra funzionare tutto. Ma gli effetti nella pratica non sono stati così fluidi e vantaggiosi per la vita scolastica nel suo complesso.
Composizione. Più che comitato valutazione sembra una commissione di controllo produzione o un controllo di processo di fabbrica. Formato da tre insegnanti, uno studente e un genitore (per le scuole superiori. Altrimenti due genitori) e un componente esterno (un altro dirigente scolastico o tecnico), elabora i criteri di valutazione del corpo insegnante. Quindi chi eroga il servizio e chi ne usufruisce si trovano nel medesimo organismo: ci saranno studenti che concorreranno a valutare docenti che, quotidianamente, valutano studenti. A queste condizioni, immaginando un circolo vizioso, è lecito dubitare che ci saranno libertà e serenità di giudizio nel lavoro del docente, quando costui dovrà impartire consegne o somministrare giudizi non positivi?
Meccanismo premiale. I criteri saranno elaborati sulla base: a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti; b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche; c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.
Gli studiosi di scienze sociali sostengono che la qualità dell’insegnamento di un docente è una grandezza osservabile ma non misurabile, quindi non quantificabile. Perciò rimane che, come ogni griglia di valutazione, si tratta di una rete dalle maglie larghe ed elastiche perché questi criteri, come tutti i criteri e tutte le leggi, possono essere interpretati e applicati con infinite sfumature.
Per di più, alla fine della elaborazione dei criteri il dirigente può disattendere quanto espresso dal comitato e assegnare di propria iniziativa il premio, motivando la scelta. Così la legge rimette tutto nelle mani del capo istituto e talvolta riduce il comitato a una semplice recita pseudo democratica. La garanzia che questo procedimento si svolga con imparzialità ed equità risiede, in ultima analisi, nel dirigente. Il che ne fa, come già si paventava, una specie di “dominus”.
Alla fine del processo di valutazione c’è una lista di docenti meritevoli del bonus, e una lista di docenti che questo riconoscimento non se lo sono meritato. Rimane da vedere che ricaduta può avere questo tipo di classificazione dal punto di vista psicologico, motivazionale e professionale, visto che tutti dovranno convivere nel medesimo istituto. Senza considerare gli effetti che questa netta e inappellabile separazione per merito avrà sulla reputazione dei docenti presso gli studenti e le famiglie.
Entità del premio. Sulla carta l’incentivo non può essere distribuito a pioggia né a un numero troppo esiguo di docenti. Per il 2016 è stato previsto uno stanziamento di 133,3 milioni di € al “lordo stato” che diventano 100 milioni al “lordo dipendente”, che divisi per le 8.500 scuole italiane diventano circa 12/13.000 € in media per scuola. I docenti premiati attendono ancora il saldo.
In aggiunta vi è poi il dissenso dei sindacati. Siccome la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità della sospensione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, si è ancora in attesa del rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione ormai scaduti da nove anni.
L’introduzione del premio al posto della progressione di carriera, portando la scuola entro il meccanismo del “premio di produzione” e quindi in una logica privatistica, è un modo di risparmiare sulla retribuzione dei docenti, che è già al disotto della media europea.
Ma le accuse che sindacati e docenti cosiddetti “contrastivi” muovono alla legge 107 è di deprimere non solo economicamente la classe docente e ATA (a fronte di un migliore trattamento retributivo delle figure apicali come dirigenti e direttori amministrativi) ma di aver elaborato una serie di parametri valutativi superficiali e insufficienti a rilevare l’effettiva preparazione e la personalità del docente.
A ciò si aggiunga che ogni scuola ha la facoltà autonoma e individuale di modificare pesi e misure della valutazione ed elaborare criteri di rilevamento a proprio piacere. A esempio, una scuola potrà dare peso al gradimento degli studenti e un’altra potrà ignorare la componente studentesca e quindi il lavoro svolto in classe dai docenti.
Si parla ormai da decenni di prestigio sociale, dignità professionale, valore esperienziale che non sono riconosciuti alla classe docente italiana, contrariamente al resto della UE. Quanto è proposto dalla legge attualmente in vigore è un riconoscimento di virtù difficilmente misurabili e la cui misurazione, tuttavia, è probabile provochi competizioni, antagonismi e concorrenzialità tra docenti più che un’auspicabile serena collaborazione tra colleghi.