Indagine sui mercati del vino a Vinitaly. Italia in crescita in Asia ma ci sono spazi per fare di più
Verona – È stata presentata domenica 7 aprile a Verona, nel corso dell’apertura della manifestazione internazionale “Vinitaly” l’indagine “Mercato Italia – Gli Italiani e il vino” realizzata da Vinitaly con l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor.
Dall’analisi emergono alcuni aspetti di notevole interesse per i produttori. Anzitutto si beve meno: il 26% in meno rispetto a vent’anni fa. In compenso la platea dei bevitori si è estesa e si beve in modo più consapevole e responsabile.
La media è di 2-4 bicchieri a settimana, consumati soprattutto in casa (67%). Queste le fasce di età in cui il bere è più diffuso: Baby boomers (55-73 anni): 93% e millennials (18-38 anni): 84%.
Il mercato del vino nel complesso è in buona salute: produce un valore al consumo che è stimato dall’Osservatorio in 14,3 miliardi di euro (dato del 2018) per un volume di vino venduto pari a 22,9 milioni di ettolitri. 650mila gli ettari coltivati a vigneto, con 406 vini a denominazione e 310mila aziende.
Nel confronto tra i maggiori mercati per valore dei consumi, l’Italia si posiziona al 4° posto dopo USA, Francia e Regno Unito.
Per la maggior parte degli intervistati il vino è tradizione, eleganza e cultura, al contrario dei superalcolici, associati a divertimento e monotonia, o della birra, dove prevale il matching con amicizia e quotidianità.
“Per gli italiani il vino va oltre lo status symbol – commenta il direttore generale di Veronafiere Spa, Giovanni Mantovani –, rappresentando un tassello fondamentale della cultura tricolore, al contrario di altri Paesi consumatori”.
Riguardo all’export, Nomisma ha presentato un focus sull’Asia: secondo il report “Asia: la lunga marcia del vino italiano”, la domanda globale di vino dell’Asia Orientale vale 6,45 miliardi di euro di import ed è prossima all’aggancio del Nord America (Canada e Usa), a 6,95 miliardi di euro.
Nella corsa al vino, l’Asia Orientale sta facendo gara a sé con un balzo a valore negli ultimi dieci anni del 227% (12,6% il tasso annuo di crescita): 11 volte in più rispetto ai mercati Ue e quasi il quadruplo sull’area geoeconomica Nordamericana.
Secondo lo studio, il vino parla sempre più asiatico, con cui dialogano in particolare i francesi e – oggi più che mai – il ‘nuovo’ mondo produttivo, Australia e Cile, che in alcuni paesi beneficiano di una politica dei dazi favorevole.
E l’Italia? Dallo studio emerge come a fronte di una tenuta in terreno positivo del sistema vino made in Italy a livello mondiale (l’Italia chiude le esportazioni 2018 a 6,149 miliardi di euro, esclusi i mosti, in crescita del 3,3% sul 2017), la presenza in Asia Orientale sia ancora marginale rispetto alle potenzialità italiane.
L’Italia è cresciuta nelle vendite, ma meno dei suoi concorrenti: in Cina in 5 anni l’incremento italiano ha sfiorato l’80% mentre le importazioni da mondo hanno segnato un +106%. Così a Hong Kong (+28% contro un +67%) e in Corea del Sud (+36% contro +60%) e soprattutto in Giappone – il mercato più tricolore in Asia – dove l’Italia non ha fatto meglio di un +3,4%, contro una domanda del Sol Levante cresciuta di quasi il 30%.
Per dirla in bottiglie, nel 2018 l’Asia Orientale ha importato quasi 93 milioni di bottiglie di Bordeaux (e 6 milioni di Borgogna), mentre il complessivo dei rossi Dop provenienti da Toscana, Piemonte e Veneto supera di poco i 13 milioni di bottiglie. Tradotto in valore, il rapporto è 11 a 1: 864 milioni di euro del solo Bordeaux contro 77 milioni dei rossi Dop delle 3 regioni italiane.
Il futuro si annuncia comunque interessante per i produttori italiani, con un tasso annuo di crescita stimato nei prossimi 5 anni che si prevede essere superiore ai consumi dell’area: fino all’8% in Cina, dall’1% al 2,5% in Giappone, complice l’accordo di partenariato economico, dal 5,5% al 7,5% in Corea del Sud e dal 3% al 4,5% a Hong Kong.