In “The French Dispatch” Wes Anderson si scopre sempre più raffinato narratore
Ho scelto di fare da start up con questo film perché fra i tanti visti, mi sembrava dirompente per dare inizio a questo appuntamento che parlerà di cinema insieme ogni 15 giorni.
Regista che amo da sempre Wes Anderson, in questo suo ultimo prodotto, mette in scena una funambolica narrazione divisa in capitoli che celebrano la figura di Arthur Howitzer Jr. e il mestiere stesso del giornalismo.
Il film appare come una epifania di colori sontuosamente elargiti con la perizia di certe illustrazioni degli anni ‘80: colori pastello equamente distribuiti che armoniosamente convivono con il raffinato bianco e nero dei noir anni ’40 e con delle incursioni nel mondo del fumetto e del cinema animato. Il tutto bagnato dalla luce morbida e vivida delle pellicole che raccontano le favole. Le stesse aperture dei capitoli hanno la composizione grafica delle copertine delle riviste illustrate o dei calendari della nonna, con disegni dal tratto lievemente underground.
Tra le citazioni più evidenti spicca la ripresa della scena iniziale dello Charlot francese, quel Mon Oncle di j. Tati, che conferisce al contempo una visione panoramica dell’ambientazione e una dichiarata cifra stilistica delle immagini. Così come nel film di Tati, anche in French Dispatch l’ironia è educata e morbida, di carattere quotidiano, che non strappa sonore risate, ma sorrisi accennati, che godono di tenere follie, contraltare di situazioni tragicomiche.
Il regista si muove discretamente con una grammatica cinematografica tesa a potenziare l’effetto illustrativo delle sequenze, concedendosi alcune operazione di post-produzione che rendono l’atmosfera uno spettacolare intrattenimento, sul modello degli spettacoli circensi. La camera spesso immobile, dipinge le sequenze consegnando allo spettatore una lettura poetica e vignettistica anche nella scena più commovente: la morte del Direttore di redazione, vegliato dalla sua gente, quello sparuto gruppo di professionisti comici spaventati guerrieri che anche nel dolore non disdegnano una buona fetta di torta, ricordandosi a vicenda che nell’ufficio non è permesso piangere.
Una voce fuori campo racconta le caratteristiche dei personaggi in un clima di perfetta “vacanza”. Pittori pazzi, ragazzi nel pieno della rivoluzione adolescenziale, cuochi asiatici sopraffini sono solo alcuni degli ingredienti di questo crogiuolo di star del cinema che si sono date appuntamento sul set di questa nuova produzione firmata Wes Anderson.
Raimondo Pasin
Raimondo Pasin studia all’Accademia delle belle Arti di Venezia e frequenta il corso di mass media tenuto dal Docente Carlo Montanaro. In seguito si abilita all’insegnamento di “Linguaggio per la cinematografia e la televisione” all’Accademia delle belle Arti di Bologna. Insegna cinematografia al corso audiovisivo dell’istituto Galvani di Trieste fino al 2018. Attualmente insegna Disegno e Storia dell’arte al Liceo Galilei di Trieste.