Il respiro quasi silenzioso dei Millenials

In serata unica, il 19 febbraio al Teatro Stabile Sloveno di Trieste, è stata ospite la produzione del teatro Mestno di Lubiana. Un debutto nazionale per un talento sloveno, Nejc Gazvoda, classe 1985, che qui si propone nella doppia veste di autore del pezzo «Un respiro silenzioso» e di regista.

Un’occasione unica per poter avvicinare un testo che rappresenti la giovane emergente drammaturgia contemporanea d’oltreconfine. Ed è in un certo senso la voce dei Millenials che si alza dal palcoscenico per esprimere il proprio disagio, le proprie aspettative, per riflettere sul nostro presente.

Si tratta di un atto unico. Scorrevole, con momenti di schietta sdramatizzante ironia che in un flusso quasi ininterrotto di parole e pensieri rimbomba di eco drammatiche e dolorose di sentimenti feriti, ma anche di tiepide nostalgie rasserenanti. Sospesa tra dialogo e narrazione, la trama mostra un’icona familiare della provincia slovena descritta attraverso la figura dei guasti e delle rotture di una casa  che fanno trasparire senza ombra di dubbio il precario equilibrio delle relazioni di coloro che la abitano.

La figlia minore, la “piccolina”, sta per lasciare la famiglia per andare a Lubiana e iniziare la vita universitaria. Alle spalle, il lutto irrisolto per il padre morto da un anno; un fratello disoccupato e alcolizzato che abita ancora con la madre chiusa in un dolore egoistico che dimentica i figli. L’arrivo della sorella Petra con il proprio compagno e di Maja, la ex del fratello che aveva abbandonato andandosene con il figlio, costituiscono l’occasione per la protagonista di una riflessione che però avviene riavvolgendo il nastro della vita vent’anni dopo: è morta anche la madre e quanto accade sulla scena, non è altro che un racconto dipinto dalla creatività della «piccolina», che riannoda ricordi e ripensa ai volti della propria complicata adolescenza.

Difficile non affermare che il testo sia espressione convincente di quella densa ansia che come umida nebbia è nel respiro dei giovani disorientati da un incrociarsi casuale di relazioni. Spesso essi sono incapaci di dare un abito, un volto o semplicemente un nome alle emozioni che si affastellano nella memoria dei loro momenti più importanti, rinchiusi in uno scatto fatto dal cellulare. Allo stesso modo precipita la nostra protagonista fra i ricordi del proprio passato, senza altro che ordinarli in una sequenza cronologica, priva di quella profonda logica emotiva che la esporrebbe ad una crisi insopportabile per il nostro oggi.

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