Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Carnia per l’anniversario della Zona Libera

Ampezzo (Ud) – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in visita in Carnia nella mattinata di sabato 14 settembre  in occasione delle celebrazioni dell’80esimo anniversario della Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli.

Le iniziative per celebrare la ricorrenza proseguiranno fino al 12 ottobre. Organizzatori sono l’Anpi di Udine, il Comune di Ampezzo e la Comunità di montagna della Carnia, in collaborazione con Università di Udine, l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, l’Associazione Partigiani Osoppo e Legambiente.

Il presidente Mattarella ad Ampezzo ha deposto una corona sul monumento ai caduti, prima dei discorsi istituzionali seguiti dalle testimonianze di rappresentanti della Resistenza nella Zona Libera del 1944.

Nel corso della cerimonia commemorativa sono intervenuti: Michele Benedetti, Sindaco di Ampezzo; Ermes Antonio De Crignis, Presidente della Comunità di Montagna della Carnia; Antonella Lestani, Presidente Regionale dell’ANPI; Paola Del Din, Consigliere del MOVM; Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia.

È, quindi, intervenuto il Presidente Mattarella.

La cerimonia è stata accompagnata dalla fanfara della “Julia” e dei canti del coro “Giuseppe Peresson”, del coro popolare della Resistenza di Udine e del coro dell’Istituto comprensivo “Val Tagliamento”.

Mattarella si è recato quindi a Illegio, accolto dai vertici del Comitato San Floriano. Dopo la visita alla mostra “Il Coraggio” ed un momento conviviale, è ripartito per Roma.

Il discorso del presidente

Rivolgo un saluto di grande cordialità a tutti i presenti, al Ministro, al Presidente della Regione, al Sindaco, al Presidente della Comunità di Montagna, ai Sindaci presenti della Carnia.

A Paola del Din, che ringrazio molto per la sua preziosa testimonianza e a quanti presenti che hanno fatto parte del movimento partigiano.

Il 1944 fu un anno carico di orrore, in Italia e in Europa. Il ritiro progressivo delle truppe naziste lasciava dietro di sé una drammatica scia di stragi.

Ne sono testimonianza i villaggi dei nostri Appennini e delle nostre Alpi violati e incendiati, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto, da Civitella Val di Chiana a Fivizzano. A Boves, alla Carnia.

L’offensiva alleata martellava le città con bombardamenti dagli esiti spesso tragici, come quello che portò, a Milano, alla morte di 184 bambini, nella Scuola elementare Francesco Crispi di Gorla.

Da Fossoli partivano i trasporti degli ebrei verso i campi di sterminio di Bergen Belsen e Auschwitz.

Contemporaneamente prendeva forza il movimento di Resistenza al fascismo. Fascismo che, con il regime della Repubblica Sociale Italiana, era complice della ferocia nazista.

Si affacciavano i primi embrioni di partecipazione politica e di aspirazione democratica.

Ad Ampezzo, la Repubblica rende oggi onore a quanti hanno contribuito alla causa della libertà, animando l’esperienza delle “zone libere”, delle “Repubbliche partigiane”.

Una causa che abbiamo visto e ascoltato poc’anzi raffigurata in maniera esemplare dalla Medaglia d’oro, dalla sua Medaglia d’oro, Paola Del Din.

Vi è una sequela, una serie di ricordi di queste esperienze

Da Montefiorino all’Ossola, all’Alto Monferrato alla Valsesia, alla Carnia, venne offerto l’esempio di genti che non si contentavano di attendere l’arrivo delle truppe alleate ma intendevano sfidare a viso aperto il nazifascismo, dimostrando che questo non controllava né città né territori, mettendo a nudo quel che era: truppa di occupazione.

Ecco perché la battaglia della Resistenza era una battaglia per l’indipendenza oltre che per la libertà.

L’estate partigiana del 1944 si nutriva della convinzione che, presto, gli Alleati avrebbero sfondato la Linea Gotica per porre rapidamente fine alla guerra, puntando dal Veneto verso l’Austria, i Balcani.

La convinzione era così diffusa da spingere il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – il CLNAI – a porsi, il 2 giugno 1944, giusto due anni prima della data del referendum istituzionale – il problema della transizione dei poteri nelle terre occupate e a definire l’obiettivo dell’azione dei Patrioti in una circolare diretta ai Comitati di Liberazione nazionali, regionali e provinciali. Vi si diceva: “l’insurrezione nazionale, insieme alle operazioni condotte dall’esercito regolare, deve fornire la prova storica dell’opposizione del popolo italiano al nazifascismo e costituire così la sua riabilitazione di fronte al mondo intero”.

Un’ambizione necessaria, per ridare all’Italia il suo posto tra le nazioni civili.

La Resistenza ricusava l’idea che il ruolo del movimento partigiano fosse, con azioni di guerriglia e di disturbo, esclusivamente di affiancamento all’offensiva delle truppe alleate.

Di rincalzo giungevano le istruzioni del Corpo Volontari della Libertà, poche settimane dopo, il 28 giugno, indirizzate alle formazioni partigiane, con una circolare sulla “occupazione di passi e vallate, le operazioni militari e l’organizzazione civile”.  Vi si osservava che: “lo sviluppo del movimento partigiano comporta l’estensione delle zone controllate stabilmente dalle formazioni patriottiche e la vera e propria occupazione in zone determinate di paesi e vallate”. Questo allo scopo, anche di avere organi locali in grado di essere interlocutori con le forze alleate di cui si attendeva l’arrivo.

Un’estate, un autunno, di attesa ansiosa e, insieme, di intensa preparazione di una nuova Italia, dopo gli anni bui del fascismo.

L’offensiva alleata contro la Linea Gotica e l’azione delle formazioni partigiane misero a dura prova le forze tedesche e quelle della Repubblica Sociale e conseguirono l’obiettivo indicato di dar vita a forme a esperienze di autogoverno territoriale.

Oggi, qui, ad Ampezzo, rendiamo onore ai Friulani che, con la Repubblica Partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, vollero battersi per la loro terra, per la loro dignità, per le radici loro, per quei valori di solidarietà che hanno sempre caratterizzato la convivenza tra queste montagne.

Una Repubblica, anello di quella corona di “zone libere” che avrebbe contribuito a dare il senso della nascita, dopo quello dissoltosi nell’estate del 1943, di uno nuovo Stato, con un ordine costituzionale che non vedeva più sudditi ma bensì cittadini.

Quale era la percezione della vita democratica nel 1944?

Dopo venti anni di dittatura in cui la memoria dell’ordinamento democratico era stata rimossa, occorreva far ritrovare ai cittadini il sentimento della libertà.

Anche a questo corrispondeva il proposito di dar vita nelle zone libere alle forme di autogoverno che, ai comandi del Corpo Volontari Libertà, univano la costituzione di organi di potere popolare per regolare l’amministrazione della vita delle comunità locali.

Fu così qui in Carnia, dove le donne furono protagoniste per la prima volta nel voto, espresso nelle assemblee dei capifamiglia, e nella organizzazione del soddisfacimento dei bisogni della popolazione, ricordava poc’anzi la Presidente Regionale dell’ANPI. Le “portatrici”, riesumando l’esperienza del primo conflitto mondiale, seppero consentire la sopravvivenza della popolazione durante l’assedio.

Del resto, caratteristica del movimento partigiano era proprio la sollecitazione all’iniziativa e alla partecipazione dal basso, dopo due decenni di subalternità e di passività popolare, frutto dell’applicazione del precetto fascista “credere, obbedire, combattere”.

La scelta politica di dar vita alle Repubbliche partigiane esprimeva una fase di maturità dell’esperienza della Resistenza, con la anticipazione della futura esperienza democratica.

La storiografia resistenziale ha definito la Carnia “laboratorio di democrazia”.

Nella opinione pubblica dopo l’8 settembre del 1943, era presente anche “l’attendismo”, la convinzione che fosse meglio non esporsi alle rappresaglie nazifasciste e attendere che gli Alleati risalissero la penisola. Questo atteggiamento non teneva in conto le sofferenze imposte alle popolazioni, quelle sofferenze gravi, imposte dalle forze occupanti, i soprusi, le deportazioni.

A levarsi furono i Resistenti, obbedendo all’ammonimento di Giuseppe Mazzini: “più che la servitù temo la libertà recata in dono da altri”.

Perché la Resistenza non era immobilismo.

Fu una sfida dura e i caduti di questa terra, che la Repubblica ha onorato con la Medaglia d’argento al Valor Militare, ne sono state il prezzo.

Di quella medaglia recita la motivazione: “La gente carnica osò lanciare una intrepida sfida all’invasore nazista e al suo alleato fascista, realizzando la Zona libera della Carnia, lembo indipendente d’Italia, retto dal governo democratico del Comitato Liberazione Nazionale, formato da civili”. E proseguiva quella motivazione: “Con una continua, eroica, tenace lotta, le divisioni partigiane Garibaldi e Osoppo, con l’appoggio delle popolazioni locali, uomini e donne, liberarono una estensione di 3500 chilometri quadrati, che comprendeva ben 42 Comuni”.

E aggiungeva ancora: “La difesa della Zona Libera e della sua capitale, Ampezzo, costrinse l’occupante a distogliere numerosi reparti dai fronti operativi per impiegarli nella repressione che costò ben 3.500 caduti partigiani e civili, migliaia di deportati e di internati, eccidi efferati, saccheggi, rappresaglie disumane nei Comuni di Enemonzo, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Ovaro, Paluzza, Paularo, Prato Carnico, Sutrio e Villa Santina”.

Alla macchia, in questa zona, fu un grande numero di alpini della Divisione Julia, sfuggiti alla cattura e al destino della deportazione in Germania.

Il movimento partigiano, oltre a sottrarre dal combattimento contro gli alleati rilevanti assetti tedeschi, conseguì il grande risultato di impedire la realizzazione della coscrizione obbligatoria, volto a dar vita a un nuovo esercito asservito ai fascisti della Repubblica di Salò.

I bandi fascisti avevano fatto dei giovani dei disertori che, da renitenti alla leva, sarebbero divenuti partigiani.

Anche alcuni giovanissimi furono protagonisti allora, come il quattordicenne Giovanni Spangaro, staffetta partigiana. Giovanissimi, oggi, coltivano la memoria come gli alunni della scuola di Forni Avoltri che hanno voluto dedicare un podcast agli avvenimenti della Repubblica di Carnia.

Ma la guerra in realtà era lungi dalla conclusione.

Il proclama del feldmaresciallo inglese Alexander, del 13 novembre 1944, diretto ai “patrioti”, provocò gelo profondo sulle attese di una rapida liberazione del Nord Italia.

La Linea Gotica resisteva e Alexander segnalava che alla campagna d’estate avrebbe fatto seguito una pausa. Proclamava: “i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l’inverno”.

Ma i patrioti non erano di fronte al nemico, ma erano in mezzo al nemico e la Stasi nelle operazioni belliche portò a consentire duri rastrellamenti contro le forze partigiane.

Il “Comando per l’Italia occupata” del Corpo Volontari della Libertà reagì immediatamente, preoccupato della sopravvivenza dei circa 80.000 uomini in armi presenti nelle formazioni in quel momento, precisando ai reparti che non si trattava di smobilitazione.

A questo si aggiungeva la denuncia di “losche manovre per tregue o compromessi”, che venne fatta, la denuncia venne fatta, dal Comitato Liberazione Alta Italia, il 3 dicembre, contro il tentativo di indebolire la Resistenza, accampando l’esistenza di trattative sotterranee in atto.

“Non c’è posto per attesisti – proclama il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – per attesisti e tanto meno per i sabotatori dell’insurrezione nazionale, per i consiglieri di patteggiamento con il nemico”. Per proseguire: “contro gli agenti del nemico, come contro il nemico, il Comitato di Liberazione ha una sola parola: guerra”.

Ma il periodo da lì sino alla Liberazione sarebbe stato costellato di grandi sofferenze per le popolazioni.

L’offensiva nazista, sostenuta da reparti cosacchi e caucasici, trasferiti al seguito della ritirata nazista da altri fronti, portò alla fine della Repubblica Partigiana della Carnia, così come avvenne, per esperienze analoghe, in altre zone d’Italia.

La condizione di terra di frontiera, area di interesse strategico per le truppe tedesche, anche ai fini di una ritirata per l’estrema difesa della Germania, si manifestò in tutta la sua complessità.

La Carnia sarà l’ultimo lembo d’Italia a essere poi liberato e dovrà soffrire l’oltraggio di due ultime stragi, il 2 maggio 1945, a Ovaro-Comeglians e a Avasinis-Trasaghis.

Il Regno d’Italia, con l’ambigua dichiarazione dell’8 settembre 1943 e sino al cambio di fronte operato 13 ottobre successivo, con la dichiarazione di guerra a Berlino, aveva permesso l’invasione della penisola da parte delle truppe germaniche.

Si era così manifestato l’intento annessionistico da parte del Terzo Reich dei territori e delle popolazioni dell’arco alpino che andavano dall’Alto Adige alla provincia di Lubiana, sottratti alla presunta autorità del governo collaborazionista di Salò e sottoposte, in realtà, all’autorità militare tedesca.

La promessa di terre e di beni alle truppe cosacche, utilizzate nella repressione antipartigiana, prospettando loro la possibilità di trasformare la Carnia in una “Kozakenland” – con l’operazione Ataman – alimentava a maggior titolo, al contrario, la opposizione e la difesa della identità friulana da parte della Resistenza, che seppe sfuggire anche all’intento tedesco di contrapporre, in quest’area nazionalità a nazionalità.

Un tema che avrebbe visto la denunzia di Michele Gortani, poc’anzi ricordato dal Presidente della Comunità di Montagna.

Insigne geologo, Presidente in quel momento del Comitato di Assistenza per la Carnia e più tardi membro dell’Assemblea Costituente, Gortani fu il padre del secondo comma dell’articolo 44 della nostra Costituzione: quello che impone, che incarica, che dà mandato alla Repubblica di tutelare tra i beni importanti della sua vita, la montagna.

L’Italia è orgogliosa del percorso compiuto in questi quasi 80 anni dalla Liberazione.

Oggi, come poc’anzi sottolineava la Presidente regionale dell’Anpi, storia e memoria si incontrano. Con le contraddizioni e le sofferenze che accompagnano gli eventi bellici. La vocazione di pace del nostro Paese è segno che tutto questo non è passato invano.

Oggi la Repubblica, qui, in Friuli, riconosce in queste popolazioni, in Carnia, radici della nostra Costituzione, radici che alimentano la nostra vita democratica.

Grazie alla Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli. Grazie per quanto fatto allora, per quanto tramandato, pertanto conservato oggi.

Viva l’Italia!

Altri contenuti dell’evento sul sito del Quirinale: https://www.quirinale.it/elementi/120212

Le parole del presidente della Regione Massimiliano Fedriga

“La Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli fu uno straordinario esempio di lotta per la democrazia in tempo di guerra. Uno dei primi fiori di libertà sbocciati in Europa che, seppur per un periodo limitato di tempo, diede la speranza di poter mettere alle spalle una pagina di storia drammatica per la nostra gente, dando quell’impulso fondamentale che ha permesso di costruire, negli anni a venire, una società libera e democratica”.

Così è intervenuto il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga alla cerimonia per l’ottantesimo anniversario della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli, che fu sottratta al controllo nazifascista nell’estate 1944 e, nell’arco della sua breve durata (una quindicina di giorni appena prima della nuova repressione tedesca), pose importanti basi per la futura democrazia. L’evento commemorativo, svoltosi questa mattina ad Ampezzo, ha visto la partecipazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oltre che di una nutrita rappresentanza di autorità civili e militari, enti e associazioni.

“La presenza del Capo dello Stato, oggi come in numerose altre occasioni quest’anno, testimonia l’importanza e la strategicità della nostra Regione come ponte culturale ed economico nell’area geografica europea – ha sostenuto il governatore -. Il nostro Paese, e il Friuli Venezia Giulia in particolare, può svolgere un ruolo chiave nell’affrontare e superare le criticità che emergono dal contesto geopolitico attuale. L’anniversario che oggi celebriamo è, in questo senso, non solo un tributo al passato ma un richiamo al presente e un monito per il futuro, affinché venga mantenuta alta l’attenzione sulla tutela dei diritti faticosamente conquistati nel secolo breve”.

Il Presidente Mattarella ha ricordato i valori del popolo friulano che, attraverso l’esperienza della Carnia libera, si batté per salvaguardare la propria dignità e le proprie radici. Una Repubblica partigiana che fu anello di quella corona di zone libere che avrebbe contribuito alla nascita di un nuovo Stato, con un ordine costituzionale che non prevedeva più sudditi ma cittadini.

Intervenuti per i saluti istituzionali anche il sindaco di Ampezzo Michele Benedetti, il presidente della Comunità di montagna della Carnia Ermes Antonio de Crignis, la presidente di Anpi Udine Antonella Lestani e la Medaglia d’oro al Valor militare Paola Del Din. A quest’ultima, Fedriga ha rivolto un particolare ringraziamento per la sua testimonianza, che “aiuta a comprendere la portata di quanto la gente di questa terra ha costruito per le future generazioni”.

Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli: la storia

Nell’estate del 1944, la Carnia divenne una zona contesa tra partigiani da un lato e tedeschi e fascisti dall’altro. Le formazioni partigiane garibaldine e osovane, nonostante le differenze ideologiche, si unirono, conseguendo una maggiore efficacia militare. Questo permise ai partigiani di ottenere il controllo di gran parte della regione, costringendo i tedeschi ad abbandonare diverse località. Il 26 settembre 1944, ad Ampezzo venne costituita la Giunta di governo della Zona Libera, composta dai vari partiti antifascisti.

La Repubblica fu fondata l’1 agosto 1944, dopo che i rappresentanti di ogni comune avevano costituito i Comitati di Liberazione Nazionale comunali.

La Zona Libera comprendeva l’intera Carnia, escluso il capoluogo Tolmezzo, e si estendeva verso Sappada e il Cadore da un lato e verso la Val Tramontina dall’altro.

Vennero organizzate libere elezioni in tutti i comuni tra agosto e settembre, a cui parteciparono tutti i partiti antifascisti dell’epoca. La Zona Libera sperimentò nuove forme di libertà, democrazia e autonomia, come il riconoscimento del diritto di voto alle donne capofamiglia.

L’8 ottobre 1944, i tedeschi lanciarono l’operazione “Waldläufer” (Corriere del bosco) per eliminare la Zona Libera. Oltre 20.000 uomini, tra cui circa 5.000 cosacchi, con l’appoggio di carri armati e artiglieria, penetrarono rapidamente nella regione. I 6.000 partigiani, male armati e senza mezzi di trasporto, furono costretti a ripiegare in Val d’Arzino e in Val Tramontina.

Dopo aspri combattimenti, i nazifascisti ripresero il controllo di tutta la Carnia entro la fine di dicembre. La repressione fu feroce, con l’invasione di 40.000 tedeschi, fascisti, cosacchi e caucasici che si stabilirono nei paesi, opprimendo la popolazione con razzie, saccheggi e violenze.

(Fonti: www.carnialibera1944.it, Wikipedia)

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