Il presidente della Repubblica alla scuola Bearzi per ricordare il giovane Lorenzo Parelli morto durante uno stage
Udine – Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato l’Istituto Salesiano “G. Bearzi” di Udine, la scuola frequentata da Lorenzo Parelli, il diciottenne che il 21 gennaio scorso perse la vita in un incidente mentre svolgeva l’ultimo giorno di tirocinio in una fabbrica di Lauzacco (Pavia di Udine).
Il Presidente Mattarella ha incontrato, privatamente, la famiglia del giovane Lorenzo e, successivamente, una rappresentanza di alunni delle scuole elementari e medie. Ha visitato, quindi, i laboratori e le officine dell’Istituto.
Al termine, ha avuto luogo l’incontro con gli studenti, i docenti e le autorità nella palestra della scuola nel corso del quale hanno preso la parola il sindaco di Udine Pietro Fontanini, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il direttore del Bearzi, don Lorenzo Teston, il coordinatore del Centro di formazione professionale, Giulio Armano e Matteo Lorenzon, compagno di classe di Lorenzo.
L’incontro si è concluso con l’intervento del Presidente Mattarella, che riportiamo integralmente.
In questo tempo difficile è di conforto trovarsi sotto l’immagine rassicurante di Don Bosco.
Desidero rivolgere un saluto molto cordiale al Presidente della Regione, al Sindaco e, attraverso di loro, a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del Friuli e di Udine.
Un saluto a tutti i presenti. Vorrei rivolgermi particolarmente, con intensità speciale, ai familiari di Lorenzo Parelli che ringrazio per la loro presenza e per l’incontro che poc’anzi abbiamo avuto.
Ringrazio Don Teston e il Professor Armano per le parole che hanno pronunziato, per le considerazioni svolte, e anche per l’opportunità di poter visitare poc’anzi i locali del Bearzi, incontrando i bambini e i ragazzi delle elementari e delle medie e, nei laboratori, i ragazzi più grandi, con la dimostrazione di alcune cose di grande interesse che stavano svolgendo.
Matteo Lorenzon, poc’anzi, ha dato voce – a nome di tanti – a un’amicizia che mai verrà meno. Il segno di Lorenzo è destinato a rimanere nella vita di chi lo ha conosciuto, di chi lo ha amato, di chi ha apprezzato la sua passione.
Io sono qui anzitutto per esprimere la mia vicinanza e la mia partecipazione all’immenso e insanabile dolore dei genitori, della sorella, degli amici e dei compagni di Lorenzo.
È una ferita profonda che interroga l’intera comunità, a cominciare dalla quella scolastica di cui era parte, dai ragazzi e dagli insegnanti del suo corso di formazione professionale.
La natura del suo percorso formativo lo aveva portato in azienda. Ma è accaduto quel che non può accadere, quel che non deve accadere.
La morte di un ragazzo, di un giovane uomo, con il dolore lancinante e incancellabile che l’accompagna ci interroga affinché non si debbano più piangere morti assurde sul lavoro.
La sicurezza nei luoghi di lavoro è un diritto, una necessità; assicurarla è un dovere inderogabile. Questa esigenza fondamentale sarà al centro della cerimonia di dopodomani, Primo Maggio, al Quirinale.
Ma quest’anno anticipiamo qui la celebrazione della Giornata del Lavoro, in omaggio a Lorenzo e a tutti coloro che hanno perso la vita sui luoghi di lavoro, affinché si manifesti con piena chiarezza che non si tratta di una ricorrenza rituale, astratta, ma di un’occasione di richiamo e di riflessione concreta sulle condizioni del diritto costituzionale al lavoro.
Il valore del lavoro, per voi giovani, e per chiunque, non può essere associato al rischio, alla dimensione della morte.
La sicurezza sul lavoro si trova alle fondamenta della sicurezza sociale, cioè del valore fondante di una società contemporanea.
Quando si parla di diritto al lavoro, di diritti del lavoro, di diritti sui posti di lavoro, sovente non sono i giovani al centro delle preoccupazioni.
E, quando è così, è un atteggiamento sbagliato.
Il ritardo – un ritardo che ci mette in coda alle statistiche europee – con il quale gran parte delle nuove generazioni riesce a trovare una occupazione non è condizione normale.
Sono quindi apprezzabili i percorsi che accompagnano i giovani ad entrare nel mondo del lavoro.
Un mondo che deve rispettarli nella loro dignità di persone, di lavoratori, di cittadini.
Che dia ai giovani quel che loro spetta, che consenta loro di esprimere le proprie capacità, affinché possano costruire il domani.
È una necessità per il futuro stesso dell’intera società.
La cronica mancanza di lavoro per le nuove generazioni – particolarmente in alcune aree – è una questione che va affrontata con impegno e con determinazione.
Accorciare la distanza tra giovani e lavoro è condizione indispensabile di sviluppo e di sostenibilità per l’intero Paese, tanto più in presenza di una crisi demografica che ha ridotto in notevole misura la presenza dei giovani nelle comunità.
Occorre liberare le giovani generazioni da quegli impedimenti, da quella compressione di energie, che molteplici fattori strutturali hanno via via opposto al loro naturale cammino.
La crescita complessiva del livello di istruzione e, in essa, della formazione tecnica e professionale qualificata, è fondamentale. Cambia la vita delle persone.
Esperienze come questa in cui ci troviamo, il Bearzi, – come è stato poc’anzi sottolineato opportunamente – sono uno strumento di forte contrasto alla dispersione scolastica e, sovente, sollecitano il raggiungimento di un titolo di studio secondario superiore.
Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono un’occasione da cogliere anche per modificare questi squilibri generazionali che hanno il loro fulcro nel lavoro ma che riguardano anche la casa e il welfare, insomma le condizioni per progettare in autonomia il proprio futuro e dar vita a una famiglia.
Il tempo della pandemia ha colpito fortemente i giovani in età scolare, lasciando in queste fasce d’età l’eredità forse più pesante.
Non tornerà certo il mondo di prima della pandemia. O faremo un deciso passo in avanti, e siamo in grado di farlo, o rischiamo di tornare indietro.
I giovani chiedono scelte lungimiranti, cui è necessario corrispondere.
Anche a loro, naturalmente, viene chiesto impegno. Il futuro si realizza meglio se i giovani ne diventano sin d’ora protagonisti. Come è accaduto in tanti passaggi importanti della nostra storia.
Viviamo una stagione intensa, per molti versi drammatica, ma il modo più efficace per affrontarla è non rinunciare a progettare il futuro, a progettare il domani, a guardare lontano.
Nel momento in cui la ripresa sembrava avviata, anche con ritmi maggiori rispetto a molte delle previsioni, più confortanti, più promettenti, è intervenuta una guerra insensata, provocata dall’aggressione militare russa contro il popolo ucraino, che va sostenuto nella sua resistenza.
Il traguardo di umanità a cui è necessario tendere resta la pace.
Ben lo sanno i giovani, ai quali la Repubblica, in questi 76 anni, ha saputo assicurare la pace.
La pace, che è inscindibilmente connessa alla libertà, al diritto, alla giustizia, allo sviluppo nel benessere dei nostri Paesi e delle nostre città.
Il Primo maggio sollecita a porre il lavoro al centro del nostro agire e del nostro pensare.
Il lavoro, come dice la Costituzione, è la base su cui è vive la Repubblica.
È stato il lavoro degli italiani a consentire nei decenni crescita sociale, economica, civile.
Il lavoro ci ha reso, soprattutto, ciò che siamo.
Ha ampliato i diritti, ha dato concretezza alla grande speranza di pace e sviluppo che animava i giorni della Liberazione.
Con il lavoro si contribuisce al benessere collettivo, si partecipa con pienezza alla vita di comunità.
Il lavoro è motivo di dignità per ogni donna e ogni uomo.
Ne abbiamo tanti esempi, anche in questa terra, intorno a noi.
L’emergenza sanitaria, la guerra, l’aumento dei prezzi dell’energia e di molte materie prime, l’inflazione incidono sulla nostra vita quotidiana e spingono a riflettere sulle responsabilità che gravano sugli Stati per poter garantire la sicurezza della salute e la pace.
Al nostro interno siamo chiamati a operare per ridurre quegli squilibri di struttura di cui da tempo soffriamo.
La transizione ecologica e digitale resta la direttrice delle politiche pubbliche, anche di fronte alle nuove difficoltà.
In gioco non c’è soltanto l’entità dello sviluppo. In gioco c’è la capacità di essere all’altezza delle sfide globali e di esercitare un ruolo di avanguardia. In gioco c’è la riprogettazione dei modelli produttivi sui quali si è assestato il modello di sviluppo europeo e italiano.
La formazione può aiutare a colmare divari importanti.
Non abbiamo tempo da perdere. Qualificare le professionalità, sostenere nuovi profili, aggiornare le competenze lungo tutto l’arco della vita lavorativa: così una comunità può progredire.
La ripresa economica seguita alla fase più acuta della pandemia ci ha permesso una risalita incoraggiante dell’occupazione, unita a una crescita del Pil, delle produzioni industriali, dei consumi. Dobbiamo cercare, malgrado le nuove difficoltà, di garantire questo percorso, che è segno di una società attiva, dinamica, con grandi potenzialità, con grandi risorse umane.
È appena il caso di ricordare che la crescita duratura richiede e impone che il lavoro cresca. In quantità e in qualità.
Diversamente, che senso avrebbe lo sviluppo se al benessere prodotto non avessero a partecipare i nostri concittadini?
Crescere in qualità significa anche affrontare il tema della precarietà. Un problema acuto e una spina nel fianco della coesione sociale.
Continuiamo a registrare lavoro irregolare, che talvolta varca il limite dello sfruttamento, persino della servitù.
Non mancano lavoratori poveri e pensionati poveri, ai quali il reddito percepito non è sufficiente, anche in ragione del carico familiare o dell’assistenza a persone con gravi difficoltà.
La resilienza e la volontà di ripresa, il desiderio dei giovani di “vivere”, sono stati essenziali in questi due anni, caratterizzati da misure di sostegno di carattere eccezionale – sorrette dalla Unione Europea – che hanno riguardato vasti settori sociali e produttivi.
Tante sono le sfide davanti a noi in questi tempi non facili.
L’Italia ha dimostrato nei mesi passati di possedere le qualità morali per non lasciarsi confondere, per non lasciarsi distrarre dal proprio cammino e dai propri valori.
Quando aumentano le difficoltà siamo capaci di trarre una forza supplementare dalla unità di intenti, che pure fa salva la diversità e la ricchezza degli apporti. È parte della nostra cultura, della nostra civiltà.
Il lavoro è espressione di questa coesione, di questa spinta all’unità, di consapevolezza di un destino comune.
Una forza preziosa che ci serve particolarmente in questa stagione, in questo periodo così difficile.
Buon lavoro per l’oggi. Buona preparazione per il lavoro di domani.
Auguri.