Giorno del Ricordo, svoltasi al Quirinale la commemorazione. Il discorso del Presidente della Repubblica

Si è svolta al Palazzo del Quirinale la celebrazione del “Giorno del Ricordo”, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra le autorità presenti, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il Presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, il Vice Presidente della Camera, Giorgio Mulè, insieme a esponenti del Governo, del Parlamento e rappresentanti delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.

La cerimonia, condotta dalla dottoressa Valeria Ferrante, si è aperta con la lettura di alcuni brani tratti dal libro “Le foibe spiegate ai ragazzi” di Greta Sclaunich, interpretati dall’attrice Gaja Masciale.

Nel corso dell’evento sono intervenuti il professor Davide Rossi, Vice Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, lo storico Egidio Ivetic, docente di Storia moderna all’Università di Padova, e il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani.

Durante la cerimonia sono stati proiettati estratti del film “La bambina con la valigia” e del documentario “Rotta 230 – Ritorno alla terra dei Padri”. A seguire, hanno portato la loro testimonianza Egea Haffner e Giulio Marongiu, esuli di Pola.

La parte musicale è stata affidata all’orchestra d’archi del Conservatorio G. Tartini di Trieste, diretta dal Maestro Sandro Tortolano, che ha eseguito l'”Adagio” in Sol minore di Tomaso Albinoni e il “Concerto” in Sol maggiore “Alla Rustica” di Antonio Vivaldi.

La cerimonia si è conclusa con il discorso del Presidente della Repubblica.

In precedenza, nella Sala degli Specchi, il Presidente Mattarella, affiancato dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, e dal Presidente della FederEsuli, Renzo Codarin, ha premiato le scuole vincitrici del concorso “10 febbraio – Itinerari storici in luoghi e spazi urbani delle città italiane alla ricerca della memoria delle terre della Frontiera Adriatica”.

Il discorso integrale del presidente della Repubblica

Rivolgo un saluto ai Presidenti del Senato, del Consiglio dei Ministri, della Corte Costituzionale, al Vice Presidente della Camera, ai rappresentanti degli esuli, a tutti i presenti e a quanti seguono da remoto.

Ringrazio il Professor Rossi, il Professor Ivetic, il Ministro Tajani per i contributi che hanno recato a questa Giornata del Ricordo.

Ringrazio la nostra conduttrice, Valeria Ferrante, Gaja Masciale per le pagine che ci ha presentato, i giovani dell’Orchestra Tartini, che ci hanno così efficacemente accompagnato.

In misura particolare, ringrazio Egea Haffner e Giulio Marongiu, per le preziose, emozionanti testimonianze.

Ci incontriamo per rinnovare la Giornata del Ricordo: occasione solenne, che invita a riflettere su pagine buie del nostro passato, per conservare e rinnovare la memoria delle sofferenze degli italiani d’Istria, di Fiume, della Dalmazia, in un periodo tragicamente tormentato della storia d’Europa.

In quella zona a Oriente, così peculiare, dove, a fasi alterne, si erano incontrate, convivendo, comunità italiane, slave, tedesche e di tante altre provenienze, la violenza prese il sopravvento, trasformandola in una terra di sofferenza.

La guerra porta sempre con sé conseguenze terribili: lutto, dolore, devastazione.

Era stato così durante la Prima Guerra Mondiale, nella quale furono immolati, in una ostinata e crudele guerra di trincea, milioni di giovani d’entrambe le parti.

Ma quella lezione sanguinosa non aveva, purtroppo, indotto a cambiare.

Perché ancor più disumani furono gli eventi del secondo conflitto mondiale, dove allo scontro tra eserciti di nazioni che si erano dichiarate nemiche, si sovrappose il virus micidiale delle ideologie totalitarie, della sopraffazione etnica, del nazionalismo aggressivo, del razzismo, che si accanì con crudeltà contro le popolazioni civili, specialmente contro i gruppi che venivano definiti minoranze.

E, nelle zone del confine orientale, dopo l’oppressione fascista, responsabile di una politica duramente segregazionista nei confronti delle popolazioni slave, e la barbara occupazione nazista, si instaurò la dittatura comunista di Tito, inaugurando una spietata stagione di violenza contro gli italiani residenti in quelle zone.

Di quella stagione, contrassegnata da una lunga teoria di uccisioni, arresti, torture, saccheggi, sparizioni, le Foibe restano il simbolo più tetro.

E nessuna squallida provocazione può ridurne ricordo e dura condanna.

Oltre a crudeli, inaccettabili casi di giustizia sommaria e di vendette contro esponenti del deposto regime fascista, la furia omicida dei comunisti jugoslavi si accanì su impiegati, intellettuali, famiglie, sacerdoti, anche su antifascisti, su compagni di ideologia, colpevoli soltanto di esigere rispetto nei confronti della identità delle proprie comunità.

Di fronte al proposito del nuovo regime jugoslavo di sovranità sui territori giuliani, l’essere italiano diveniva un ostacolo, se non una colpa.

Ben presto, sotto minaccia e dopo una seconda ondata di violenze, i nostri concittadini di Istria, Dalmazia, Fiume, furono messi di fronte al drammatico dilemma: assimilarsi, disconoscendo le proprie radici, la lingua, i costumi, la religione, la cultura. Oppure andare via, perdendo beni, casa, lavoro, le terre in cui erano nati.

In grande maggioranza scelsero di non rinunciare alla loro italianità e, di fatto, alle libertà, di pensiero, di culto, di parola. In trecentomila – uomini, donne, anziani, bambini – radunate poche cose, presero la triste via dell’esodo.

Come abbiamo ascoltato dalle intense letture tratte dal libro di Greta Sclaunich, spesso l’accoglienza in Italia non fu quella che sarebbe stato doveroso assicurare.

Stenti, sistemazioni precarie, povertà, ma soprattutto diffusa indifferenza, diffidenza. Financo ostilità da parte di forze e partiti che si richiamavano, in Italia, alla stessa ideologia comunista di Tito.

Non mancarono, nelle vicende tristi degli esuli, atti di forte solidarietà, di amicizia, di accoglienza da parte di molti italiani. Ma, in generale, la loro tragedia, di cui portavano intimamente le cicatrici, fu sottovalutata e, talvolta, persino, disconosciuta.

Il mancato riconoscimento fu, per molti, una pena inattesa e dolorosa.

L’istituzione del Giorno del Ricordo, votata a larghissima maggioranza dal Parlamento italiano, ha contribuito a riconnettere alla storia italiana quel capitolo tragico e trascurato, a volte persino colpevolmente rimosso.

La memoria storica è un atto di fondamentale importanza per la vita di ogni Stato, di ogni comunità. Ogni perdita, ogni sacrificio, ogni ingiustizia devono essere ricordati.

Troppo a lungo “foiba” e “infoibare” furono sinonimi di occultamento della storia.

La memoria delle vittime deve essere preservata e onorata. Naturalmente – dopo tanti decenni e in condizioni storiche e politiche profondamente mutate – perderebbe il suo valore autentico se fosse asservita alla ripresa di divisioni o di rancori.

Abbiamo appena ascoltato alcuni testimoni diretti di quella tragedia: Egea Haffner e Giulio Marongiu.

Dobbiamo loro affetto e riconoscenza. Nelle esemplari parole che ci hanno offerto, si coglie un forte ammonimento per la pacificazione e la riconciliazione.

Ogni popolo, ogni nazione, porta con sé un carico di sofferenze e di ingiustizie subite. Apprezziamo gli sforzi, fatti dagli storici dell’una e dell’altra parte, per avvicinarsi a una memoria condivisa. Ma, ove questo non fosse facilmente conseguibile, e talvolta non lo è, dobbiamo avere la capacità di compiere gesti di attenzione, dialogo, rispetto.

Dobbiamo ascoltare le storie degli altri, mettere in comune le sofferenze, e lavorare insieme per guarire le ferite del passato.

Se ci si pone dalla parte delle vittime, dei defraudati, dei perseguitati, la prospettiva cambia, i rancori lasciano il posto alla condivisione, e si rende valore al percorso di reciproca comprensione.

È in questo spirito che, nel 2020, il Presidente Pahor e io ci siamo recati, insieme, prima alla Foiba di Basovizza, simbolo del calvario di tanti italiani, e poi al monumento dei giovani sloveni fucilati dal fascismo.

Non per dimenticare, né per rivendicare. Ma per trarre dagli errori e dalle sofferenze del passato l’ulteriore spinta per un cammino comune. Perché le diversità non dividono, ma diventano ricchezze se si collabora e si pensa, insieme, nell’ottica di futuro comune.

È questo lo spirito in cui si muovono gli appartenenti all’Associazione degli esuli, che ringrazio per il loro impegno che coniuga, insieme, ansia di verità e volontà di concordia.

È lo spirito che anima la preziosa attività delle associazioni delle minoranze linguistiche che, negli ultimi anni, hanno promosso in Italia, in Slovenia, in Croazia, dialoghi e incontri per riscoprire la ricchezza della storia comune.

È lo spirito che abbiamo respirato, sabato scorso, all’inaugurazione dell’anno da capitale della cultura europea, alla quale – con un gesto di grande generosità e lungimiranza – Nova Gorica – ha voluto associare Gorizia: due città simbolo, solo pochi decenni fa, di dolorose divisioni e di innaturali separazioni.

Oggi, nel nostro continente, Stati e popoli che nel passato si sono combattuti sono insieme nell’Unione Europea, condividendo valori, identità, principi, prospettive.

Il progressivo allargamento della famiglia europea ha conseguito risultati giudicati fino a qualche decennio fa impensabili.

Si è trattato di un percorso che, in Europa, ha visto il ribaltamento della pretesa di dominazione, di secoli di guerre fratricide e rovinose. Un percorso che ha ricomposto lacerazioni profonde, grazie alla cooperazione e al multilateralismo, offrendo oltre settant’anni di pace, sicurezza, benessere e stabilità al nostro continente e consentendo l’affermazione dei valori della libertà, dell’uguaglianza, della democrazia, del rispetto dello Stato di diritto.

La pace dei settant’anni! Nell’auspicio che prosegua costantemente, sempre più a lungo.

Un cammino non sempre agevole, costellato da aperture e da ostacoli, ma che oggi più che mai va proseguito con coraggio, ostinazione e saggezza, sia all’interno dell’Unione sia alle sue frontiere, impegnandosi anche per favorire l’ingresso di nuovi membri – Paesi dei Balcani Occidentali che ne sono ancora esclusi, Ucraina, Moldova – e diffondendo nel continente lo spirito europeo, che esprime e persegue pace, dialogo, integrazione, collaborazione e sviluppo.

Le nuove generazioni hanno ben compreso la sfida del tempo. Collaborano, lavorano, studiano e vivono insieme, trasformando le differenze in opportunità, e attuando, nei fatti, lo spirito dell’Unione Europea.

Abbiamo il dovere di non deluderli e di continuare a operare con coraggio. A sperare, a non rassegnarci.

Soltanto così potremo trasmettere ai giovani, idealmente, in questa Giornata del Ricordo – insieme all’orgoglio di una conseguita identità europea, tanto propria alle culture dei popoli del confine orientale – il testimone della speranza, incoraggiandoli a mantenere viva la memoria storica delle sofferenze patite da loro connazionali, adoperandosi perché vengano evitati errori e colpe del passato, promuovendo, ovunque rispetto e collaborazione.

Anche quest’anno la Giornata del Ricordo ci ha offerto e ci offre un’opportunità da raccogliere con impegno per riflettere sulle lezioni del passato.

La Repubblica guarda alle vicende drammatiche vissute dagli italiani di Istria, Dalmazia, Fiume con rispetto e con solidarietà, e lavoriamo, nell’Unione Europea, insieme alla Slovenia, alla Croazia e agli altri Paesi amici per costruire, ogni giorno, nuovi percorsi di integrazione, amicizia e fratellanza tra i popoli e gli Stati.

 

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