Famiglie povere in regione, sono quasi il 7%. Oltre il 30% ha un lavoro
Trieste – Sabato 11 maggio si è svolto un convegno organizzato dalla Cisl Fvg dal titolo “Povertà 4.0. Il Friuli Venezia Giulia che cambia, nuove emergenze”.
L’obiettivo era quello di affrontare il fenomeno dell’impoverimento della popolazione a seguito della crisi di 10 anni fa i cui effetti ancora si fanno sentire nella nostra regione e non solo.
In particolare si è parlato di due strumenti pubblici di contrasto alla povertà: la misura attiva di sostegno al reddito (Mia), strumento regionale introdotto nella precedente legislatura e il Reddito di cittadinanza, provvedimento adottato dal Governo nazionale
In rappresentanza della Regione, al convegno è intervenuto anche il vicepresidente con deleghe alla salute ed al sociale Riccardo Riccardi.
Per il segretario generale della Cisl Fvg, Alberto Monticco, che ha aperto il convegno, la sfida “è quella di costruire, anche attraverso una riforma del sistema sociale della regione, misure non tout court, ma interventi strutturali di accompagnamento delle persone verso l’uscita dalla povertà. È chiaro che il reddito di cittadinanza non è una risposta sufficiente, perché manca di tutta quella parte, garantita, invece, dal Rei e in Friuli Venezia Giulia dalla Mia, relativa ai servizi di accompagnamento alla persona”.
Secondo il sindacato, le misure in questione vanno integrate con percorsi di reinserimento lavorativo con occupazione di qualità e contratti non precari.
Il ruolo dei centri per l’impiego è fondamentale e occorre potenziare questo strumento in vista di un percorso di inclusione complessivo per le persone in difficoltà.
Per la Regione, occorre riprogrammare le misure e gli interventi regionali di contrasto alla povertà e renderli più efficaci. A tale scopo, sarà necessario rivedere alcune delle caratteristiche della Mia, tenendo conto del reale impatto determinato dal Reddito di cittadinanza.
È troppo presto, per Riccardi, per valutare gli effetti del reddito di cittadinanza, ma è opportuno avviare già una riflessione sulle politiche regionali che potrà essere conclusa non prima di conoscere la reale risposta dei cittadini alla misura.
Lo scopo è quello di affrontare eventuali carenze nei provvedimenti regionali di contrasto a un fenomeno complesso come quello della povertà, che è legata a molteplici fattori: lavoro, abitazione, salute, relazioni, competenze e opportunità di sviluppo).
Per individuare le caratteristiche di un’eventuale nuova misura regionale nella lotta alla povertà, quindi, sarà indispensabile monitorare l’andamento delle famiglie sotto la soglia di povertà relativa che, nel 2017, ha toccato quota 6,9% in regione.
Se il dato non diminuisce sarà necessario indagarne le motivazioni anche tenendo conto delle differenze dei requisiti di accesso alle due misure che non rendono le rispettive platee di potenziali beneficiari completamente sovrapponibili (Isee a 9.360 euro e 10 anni di residenza per gli stranieri in Italia per il RdC, mentre la Mia ne prevede minimo 2 e un Isee a 6.000 euro).
La Regione, infine, ha affrontato alcuni temi strutturali che andranno riconsiderati, fra cui la necessità di comprendere se serve un’unica misura per intervenire sulle diverse cause della povertà e se è necessario continuare con provvedimenti distinti, considerando anche l’alta percentuale (80%) di richieste alla Mia dedicate alla casa, nel triennio 2015-18, per il pagamento di utenze e affitti.
Risulta preoccupante la quota dei beneficiari della misura che hanno un lavoro a tempo indeterminato: il 32% dei componenti in età da lavoro dei nuclei che hanno beneficiato della Mia risulta occupato. È il fenomeno dei lavoratori poveri, che interessa in media un lavoratore italiano su dieci ed è in crescita.
Si evidenzia pure come il rapporto italiani/stranieri dei beneficiari abbia registrato un forte sbilanciamento sui secondi: alla Mia hanno avuto accesso il 29,4% di nuclei composti da soli stranieri.