Breve intervista a Roberto Vidali per il suo nuovo supplemento a corredo del numero di ottobre della rivista Juliet: “Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità”
Trieste – Con il numero 219 della rivista Juliet esce anche un supplemento firmato da Roberto Vidali: “Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità”. Il libro di 206 pagine, realizzato su progetto grafico di Piero Scheriani e con una postfazione di Gabriele Perretta, è l’ultima testimonianza della scrittura proteiforme che l’autore ha iniziato a praticare fin dal 1975, alla ricerca di una terra dove ancorarsi o, forse, per dirla in altro modo, un luogo dove nascondersi. L’insieme di questa silloge trae origine, in massima parte, da una selezione di articoli stampati, a partire dal 1985, sulle pagine della rivista “Juliet” sotto vari pseudonimi. Altri scritti sono stati divulgati sul sito juliet-artmagazine.com. Solo uno di questi è stato recuperato da un catalogo, un altro è stato pubblicato sul sito olimpiainscena.it e l’ultimo della sequenza, peraltro, è inedito. Infine, per continuare questo gioco di ombre, in questo cumulo di parole addensate sono stati inseriti venti testi che non furono camuffati da uno pseudonimo, giusto per aprirsi all’idea che, finanche la firma di Roberto Vidali, messa ad architrave di tutto questo progetto la si possa far apparire come un puro gioco della fantasia. A ben vedere la questione trova una porta aperta. Il resto, quello che rimane in disparte, è il silenzio.
A questo punto per aprirci al senso di questa pubblicazione diamo la parola a Roberto Vidali, che a dirla tutta, è risultata essere una valanga di parole.
Ci parla di questo extra issue collegato al n 219 della rivista Juliet?
Questo ennesimo prodotto editato da JULIET esce senza paracadute, senza protezioni, senza solleciti di alcun genere, ma solo per fonte interna di un figlio del secondo dopoguerra cresciuto all’ombra di un’idea ossessiva e cioè che l’arte potesse rendere il mondo migliore e fosse un modo positivo per interfacciarsi con persone che si conoscono o che non si conoscono; come dire, un dialogo tra vicini e tra persone distanti, al di là di un cortile o al di là di confini naturali o politici.
Quale può essere il discrimine?
Il discrimine, il punto d’inizio, la linea di separazione, la fenditura che taglia le mie scelte dal resto del mondo, la mia ricerca appassionata dalle frattaglie e dai minestroni contermini, ha il suo avvio nel 1972, quando io, da piccola vittima sacrificale, mi recai con l’amico Claudio Massini, per la prima volta nella mia vita, a visitare la Biennale di Venezia. Lì, in quel primo schiaffo morale alla mia gioventù inesperta e provinciale, mi resi conto che le definizioni, talvolta circoscrivono, chiudono, aiutano, talaltra confondono e generano sconforto. In quell’anno fatidico (fatidico per me, beninteso) una Biennale confusa e di compromesso metteva fianco a fianco (e qui esemplifico per semplificare) l’opera di Gino De Dominicis con quella di Alik Cavaliere. Lo slogan che guidava la lunga mano del progettista stava racchiuso in una fin troppa facile opposizione terminologica: “Opera o Comportamento ”. A voi desumere quale poi fu il mio percorso.
Ora le chiedo, perché questo titolo? Perché un titolo che non enuncia chiaramente il contenuto?
Le risposte sono molteplici; innanzitutto ne do una: la mia è una scrittura trasformista, è una specie di sfida ai generi e alla consuetudine, ecco perché nei miei anni di dedizione all’arte contemporanea ho cercato di scardinare il ruolo tradizionale della critica d’arte. La creatività e la difformità hanno guidato il mio pensiero e la mia azione. Indico una sintesi delle tappe significative di questo percorso: ho iniziato la mia modesta carriera di ragioniere dell’arte con un piccolo fascicolo-catalogo (L’uva di Giuseppe, 1986); ho poi stilato quattro racconti per altrettanti artisti (Bestio!, 1993); sono poi arrivato a confrontarmi con un saggio sul tema della lentezza (Libellule, 1995); mi sono imbattuto in un racconto metaforico (Onde di formiche, 1998); ho proseguito il percorso con un proclama estetico (Giungla, 1999); mi sono arenato sul secondo capitolo di una storia metaforica (No, non è lei, 2003). Poi, nel 2007, Mamma, vogghiu fa’ l’artista. E come non potevo dopo tanto comportamentismo da piccolo scrivano istriano non approdare alle “parole che risuonano”? Il titolo è diretto, colpisce al cuore, affascina la mente e in più si sviluppa in cento capitoli, il che offre l’opportunità di una lettura a puzzle.
Quale tempo ritroviamo in queste sue parole? C’è nostalgia dei tempi andati, c’è ansia per il futuro?
Ovviamente il tempo che si riscontra nei miei commenti non è filosofico, non è astronomico, bensì è concreto, reale: il tempo che si concede al nostro spirito affinché il corpo e il cervello non impazziscano, affinché i registri non vadano fuori posto e non si entri a far parte di quella percentuale del quattro per dieci di disturbati (anoressici, mangioni smodati, decerebrati, disturbati del sonno, schizofrenici, drogati, alcolisti) che costellano le strade e gli uffici delle città occidentali. Il tempo, la fama, la verità… o era il tempo, la fame, l’eternità? Vien da sorridere e vien da pensare all’antichità classica e alla fissità di certi loro schemi espressivi, alla durata dei loro paradigmi. E con il sorriso saltiamo il fosso del passato e obliamo il presente. Tutto ciò può sembrare confuso, ma alla fine, forse, ogni tassello tornerà al suo posto.
In ultima analisi, di quale utilità può essere la lettura di questo libro?
Molte sono le domande e poche sono le risposte proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire su un suo personale percorso. E confido che tutto ciò possa essere utile, dire che sia democratico o partecipativo non voglio dirlo, perché ogni testo è, innanzitutto, una affermazione del proprio pensiero, tuttavia ci sono testi che insegnano e testi che non lo fanno, ci sono testi inutili e testi utili. Spero di appartenere alla seconda categoria. Debbo anche confessare che avrei preferito un fascicolo corredato di immagini a colori e di maggiore formato, ma il costo di stampa non ha permesso questa opzione; e tra il tutto, il nulla e il poco ho preso tra le mani quest’ultima opzione.
Lubiana, Cukrarna, maggio 2023, Roberto Vidali in una foto di Elisabetta Bacci.