Economia in crisi: in Friuli Venezia Giulia fallimenti e liquidazioni sono aumentati del 40%
FVG – Dopo 18 mesi di calo, nel secondo trimestre crescono i fallimenti (+1,5%) e le liquidazioni in bonis (+26,1%) delle imprese italiane. Soffrono le ditte individuali e le PMI, penalizzate dalla scarsa liquidità.
Settore più colpito dai fallimenti è l’industria (+5,2%). I maggiori incrementi nelle liquidazioni riguardano le costruzioni (+33%), con le pessime previsioni dettate dalla fine degli incentivi, seguite da servizi (+26.2%) e industria (+22,8%).
Nel Nord-Est l’aumento di fallimenti e liquidazioni è pari al 12,1%.
In Friuli Venezia Giulia tra fallimenti e liquidazioni si giunge al 40%.
Sono le principali evidenze dello studio “Le chiusure di impresa nel II trimestre 2023 e gli impatti sull’economia reale” pubblicato il 20 settembre da Cerved, società di elaborazione ed analisi di dati commerciali e finanziari con sede a San Donato Milanese (Mi).
Così afferma Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved: “Nel triennio 2020-22 la crisi non si è tradotta in un aumento delle uscite dal mercato. Ora invece inflazione e alti tassi di interesse stanno iniziando a impattare duramente sui conti economici delle aziende, provocando una riacutizzazione del rischio e un aumento delle chiusure”
Tra fallimenti e liquidazioni volontarie, stando ai dati Cerved, nei primi sei mesi del 2023 in Italia sono andati persi 81.000 posti di lavoro e oltre 1 miliardo di euro di valore aggiunto (oltre a 2,5 miliardi di debiti finanziari e 1,8 di debiti commerciali).
Per la prima volta dopo un anno e mezzo in continua decrescita, infatti, nel secondo trimestre 2023 sono tornati ad aumentare i fallimenti delle imprese italiane (+1,5% rispetto allo stesso periodo del 2022, 2.070 contro 2.039), mentre le liquidazioni volontarie hanno visto un’impennata (+26,1%, 10.446 contro 8.282).
In particolare, sono fallite le imprese piccole e medie (ma non le piccolissime), che si rivelano sempre più in difficoltà, come già evidenziato nel 2022 dalla crisi di liquidità e dall’allungamento dei tempi di pagamento verso i fornitori, che spesso sfocia in ritardi e mancati pagamenti.
A guidare i fallimenti sono soprattutto le ditte individuali (+27.7%); le società di capitali fanno registrare nel complesso un lieve aumento (+0.3%), trainato in particolare dalla fascia di aziende tra i 2 e i 10 milioni di euro di fatturato (+44,8%).
I comparti più colpiti sono l’industria (+5,2%) e i servizi (+1%), in particolare prodotti da forno (+84,6%), alberghi (+50,0%) e ingrosso costruzioni (+36%), che già nel 2022 avevano registrato livelli elevati di indebitamento e un peggioramento delle abitudini di pagamento. Nel Nord-Est (+12,1%) e al Centro (+11,6%) la crescita maggiore.
Fallimenti e liquidazioni volontarie (in bonis) sono due fenomeni distinti che riflettono cause diverse: i primi sono il risultato di un processo di deterioramento dei fondamentali finanziari che avviene nel corso del tempo e quasi sempre è anticipato da una riduzione del giro d’affari dell’impresa; le seconde riflettono invece in maniera più istantanea il peggioramento delle aspettative imprenditoriali, dal momento che la chiusura in bonis è in genere legata a margini attesi non sufficienti a proseguire l’attività imprenditoriale.
“Nel triennio 2020-22, gli effetti delle crisi e del rallentamento congiunturale non si sono tradotti in un aumento delle uscite dal mercato e delle chiusure di impresa, che hanno registrato sei trimestri consecutivi di riduzione mantenendosi su livelli ampiamente inferiori al pre-Covid – aggiunge Mignanelli -. Tuttavia, i dati del 2023 fanno emergere una chiara inversione di tendenza: l’impennata dell’inflazione e il conseguente forte rialzo dei tassi di interesse, si è manifestata in modo asimmetrico sulle imprese.