Droni, mascherine e diritti umani. Come finirà?
Non se ne esce. Tra emergenza e diritti costituzionali, il virus Covid-19 impone una serie di riflessioni che, in qualunque modo si affrontino, ricordano la coperta troppo corta.
Rispettare il diritto alla libertà personale e alla privacy permettendo possibilità di movimento senza controlli? Oppure considerare il diritto alla salute di tutti imponendo restrizioni, controlli, mascherine e – nella fase 2 – uscite scaglionate e discriminanti tra più giovani e più anziani?
Il tutto entro l’incalzare – minuto dopo minuto – dei numeri e delle teorie sulla diffusione e propagazione del virus, i tiremmolla degli organi della UE, gli accenni a una metaforica guerra contro un nemico invisibile, le invocazioni alla solidarietà, le proclamazioni di palingenesi morale e sociale o, viceversa, le scettiche e pessimistiche affermazioni che tanto l’uomo non cambierà mai e la storia lo conferma.
Nel frattempo rinunciamo a vivere una vita normale in nome della vita. Strano modo di esistere. Incoerente e contraddittorio. Ma non rimane altro da fare se vogliamo evitare la malattia o le sanzioni penali. In sostanza stiamo accettando, bene o male, di essere violati nella libertà delle abitudini quotidiane e nella privacy. E gli interrogativi che ognuno si pone, in modo più o meno ansioso e angosciato, sono: perché? E: fino a quando?
Il perché è spiegato da una regola che risale al diritto romano: necessitas non habet legem sed ipsa sibi facit legem, vale a dire che la necessità non conosce legge ma essa stessa diventa legge di per sé. È così che i governi affrontano le emergenze provocate da eventi eccezionali e il principio di necessità diventa una norma imprescindibile prevista anche dall’articolo 3 del Codice della privacy.
Si dice che il proverbio “fare di necessità virtù” risalga a san Girolamo, sebbene la formulazione giuridica sia più antica di qualche secolo. Ma la sostanza non cambia la domanda che ci poniamo di conseguenza, e fa apparire i nostri sacrifici meno grami, è : diventeremo un popolo di virtuosi?
Anche qui parlano i numeri delle contravvenzioni e i talk show.
Il perché, dunque, è chiaro: stiamo sopportando – chi più chi meno – virtuosamente il disagio perché lo impone la necessità che conosciamo fin troppo bene dai media.
Nello stesso tempo ci chiediamo se la prigione casalinga, fatta di norme e pratiche di sorveglianza fisica e digitale, sia non solo compatibile con i diritti della persona ma anche se sia reversibile. In altre parole se e quando torneremo in condizioni di normalità.
Sappiamo bene da molto tempo di essere controllati attraverso le carte di credito, gli acquisti on line, i telefoni cellulari, le tessere fedeltà dei nostri negozi preferiti, il telepass. Ma ora si aggiungono i posti di blocco per strada, gli elicotteri, i droni, la geolocalizzazione e i canali che certi comuni – come quello di Roma – hanno attivato per accogliere le segnalazioni di eventuali assembramenti non consentiti. Le spiate, si direbbe in altri tempi. E poi c’è il lavoro agile – istruzione compresa – che, per decreto ministeriale, deve seguire le vie delle piattaforme telematiche con tutte le controindicazioni sulla profilatura e l’acquisizione dei dati personali degli utenti.
Lo scandalo che ha travolto Cambridge Analytica e Facebook ha dimostrato ampiamente che l’acquisizione e il commercio dei dati personali può condizionare e dirigere le campagne elettorali e le scelte politiche. Proprio per evitare la manipolazione del consenso, la legge stabilisce che non si possano raccogliere informazioni senza l’accordo dei proprietari. Ci sono altre documentazioni al riguardo: per esempio Edward Snowden, il prodigio dell’informatica della CIA ora rifugiato in Russia, ha dimostrato nella sua autobiografia che la sorveglianza di massa e l’intromissione nella vita privata delle persone, nella messaggistica e nelle abitazioni è un’operazione consueta e imprescindibile per un sistema di governo che voglia garantirsi sicurezza e stabilità. Nella fiction televisiva “The Young Pope” di Sorrentino, il cardinale Angelo Voiello, segretario di Stato della Santa Sede dice al proprio assistente che “Il potere è conoscenza”.
E dunque: una volta avviata sorveglianza in qualunque modo si voglia, il governo farà marcia indietro quando l’emergenza sarà terminata? Rinuncerà al potere conferito dalla conoscenza e dal controllo delle nostre persone, delle nostre abitudini, dei nostri spostamenti? Dal doverci muovere sempre con un valido motivo e poterlo dimostrare?
Nelle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte, ha ordinato di sparare su chi violi la quarantena. Per fortuna i soldati si sono rifiutati di eseguire l’ordine. Più vicino a noi,
in Ungheria, il premier Viktor Orban si è attribuito pieni poteri in virtù del principio di necessità, ovvero col pretesto di combattere l’epidemia in modo più efficace. Deporrà questi poteri alla fine dell’emergenza? Orban non ha definito un termine temporale dello stato di urgenza, come invece accade in altre nazioni europee.
Per esempio in Francia lo “stato d’urgenza” votato recentemente dal parlamento ha una durata limitata a due mesi. Nel Regno Unito i poteri eccezionali concessi al governo avranno una valenza massima di due anni e dovranno essere rinnovati dalla Camera dei comuni ogni sei mesi. In Italia una delibera del Consiglio dei ministri prevede lo stato di emergenza per sei mesi a decorrere dal 1 febbraio 2020 e quindi fino alla fine di luglio.
In questi paesi, compreso il nostro, il dispositivo di legge prevede – almeno sulla carta -una circoscrizione temporale dei provvedimenti.
E quindi va bene essere positivi e ottimisti, ripetere che tutto finirà bene, cantare sui balconi e fare gli aperitivi e i concerti in cloud meeting, ma senza perdere di vista il nostro diritto imprescindibile alla libertà.
Infatti come si legge in un appello lanciato da Human Rights Watch, Amnesty International e sottoscritto da oltre 100 ong, è il momento di tenere alta la guardia perché «La pandemia Covid-19 è un’emergenza sanitaria di portata globale, che richiede una risposta coordinata e su larga scala da parte dei governi di tutto il mondo. Tuttavia, gli sforzi degli stati per contenere il virus non devono essere usati come copertura per inaugurare una nuova era di sistemi di sorveglianza digitale invasiva».
E quindi, non ci resta che sorvegliare chi ci sorveglia per rimanere informati e aggiornati sulle leggi che regolano la nostra vita e i nostri diritti. Anche in regime di necessità.
Roberto Calogiuri