Dino Marcuz, il maestro per antonomasia del sollevamento pesi azzurro
Pordenone – Il sollevamento pesi azzurro negli ultimi 30 anni ha attinto principalmente a due bacini: la Sicilia, intesa come regione, e Pordenone, intesa come quella società, nata formalmente all’inizio degli anni Ottanta, che partendo da un seminterrato del palazzetto dello sport cittadino, ha conquistato cinque qualificazioni olimpiche ed un tale numero di titoli italiani, assoluti e giovanili, che è ormai impossibile averne memoria. Oltre ed essere il principale vivaio dei gruppi sportivi militari, Esercito e Fiamme Oro in primis, uniche realtà dove un atleta italiano del sollevamento pesi può pensare di dedicarsi a questo sport da professionista. L’architetto di questi successi vive in palestra dall’alba al tramonto, come un antico alchimista nel suo laboratorio segreto, osservando ogni girata, ogni spinta, ogni strappo, ogni squat dei propri pupilli – e sono migliaia ogni giorno – magari seguendoli con la coda dell’occhio mentre, con gli occhiali sul naso, legge un libro o completa un cruciverba. Correggendo i suoi ragazzi con consigli lapidari o incoraggiandoli con qualche battuta di spirito. Il sollevamento pesi non è – come si potrebbe pensare – questione di forza bruta, ma tecnica, geometria e traiettorie da limare millimetro dopo millimetro ad ogni allenamento. Per farlo serve qualcuno che osservi da fuori e che sia in totale sintonia con l’atleta, sotto il profilo tecnico ed umano. Serve in pratica un maestro. E nella pesistica italiana il maestro per antonomasia è, appunto, il pordenonese Dino Marcuz, classe 1946, anima della Pesistica Pordenone. Il sito della Federpesi lo ha di recente celebrato con un bel ritratto, che ha dato anche a noi lo spunto per un’intervista al “Grande Vecchio” del sollevamento pesi.
– Quando nasce la storia della Pesistica Pordenone?
“Direi negli anni Sessanta. In quegli anni io entravo nelle Fiamme Oro; prima ho fatto la ferma di tre anni e poi ho iniziato l’attività, quindi era circa il ’65. Mi sono interessato subito del settore giovanile, e ho sempre lavorato con quello; poi i piccolini son diventati grandi e via via, si sono susseguiti i cicli, ciascuno con la sua importanza. I periodi più intensi sono stati negli anni negli anni ‘80 e ’90, con vari atleti di grosso livello nazionale e internazionale, con la partecipazione alle Olimpiadi di Vanni Lauzana, Raffaele Mancino, Moreno Boer (due edizioni ndr). Ultimo in ordine di tempo è Mirko Zanni, che si è qualificato per le Olimpiadi, sempre sperando che le facciano. Lui è fortissimo e se dovesse andare a Tokyo, credo possa giocarsi qualcosa di grosso”. ”.
– Come si riconosce un talento?
“Dire dal fisico sarebbe abbastanza facile; un atleta lo si vede da come si muove, il tono muscolare, l’impronta. Poi ci sono anche dei test, per valutare l’esplosività, la velocità, la coordinazione … Si capisce insomma. La differenza la fa la testa, è questa la cosa più importante, anche se non la si afferra subito. Mirko Zanni per esempio ha bella testa, forte motivazione, idee ben precise. Poi queste idee vanno ovviamente coordinate. La chiamiamo complicità tra tecnico e atleta: ci si comprende a pelle, si anticipano le situazioni, e i risultati si vedono subito in pedana.
– Le emozioni erano più forti da atleta o lo sono più da tecnico?
No, no, io da atleta ero un carciofo! Ero inguardabile! La frase “Se tornassi indietro rifarei…” non è per me, sicuramente preferisco la vita da tecnico. Gioia e dolori sono tanti. Poi io sono uno di pancia, anzi di stomaco. La cosa più affascinante nella pesistica per me è che c’è sempre da imparare. Poco tempo fa pensavo di aver capito quasi tutto, ora invece mi vengono fuori idee. Non si finisce mai di capire, non si è mai arrivati”.
– Se non fosse stato Dino Marcuz, Maestro di Pesistica Olimpica, che sport avrebbe scelto?
“Mi diverto a correre in bici. In orari particolari perché io seguo il sole: quando comincia a far luce si parte, quando tramonta vado a riposare”.
(Nella foto: Dino Marcuz in Nazionale a metà degli anni Sessanta)