Curriculum dello studente. Portfolio o schedario? Si inizia con la maturità
Dormiva placidamente nelle pieghe della legge 107, quando la ministra Azzolina lo ha risvegliato con un decreto del 6 agosto 2020 e il ministro Bianchi – forte della compagine Draghi – lo ha adottato definitivamente e reso esecutivo a partire dal presente anno scolastico. O, più precisamente, a partire dalla conclusione del biennio scolastico più travagliato dal secondo dopo guerra.
È il curriculum dello studente, il dispositivo previsto dal comma 28 della Buona Scuola, che più che buona, ha trasformato la scuola in ambiente aziendale, competitivo e privatizzato. Un ambiente in cui, alla lotta per il bonus docente, si aggiungerà la gara per disegnare un profilo formativo che aggiunga appeal imprenditoriale al portfolio degli studenti. Farà il suo debutto nella scuola italiana dal 16 giugno di quest’anno, ovvero all’inizio degli esami di maturità.
Come primo effetto, avrà un peso nella valutazione degli studenti in uscita dalla scuola media superiore per poi confluire nel EQF, il Quadro Europeo delle Qualifiche: infatti raccoglie e documenta tutte le esperienze scolastiche ed extrascolastiche che studentesse e studenti hanno raccolto nel corso del quinquennio superiore.
Il ministro Bianchi, dal canto suo, non fa altro che applicare una legge del 2015, dimostrando la continuità della politica scolastica tra governi di colori e origini diversi: è sufficiente seguire la traccia dell’alternanza scuola-lavoro, di cui il curriculum dello studente è il coronamento, per constatare che non vi è interruzione di intenti politici nei governi che vanno dal 1997 al 2015, vale a dire dal governo Prodi – con Berlinguer all’istruzione – a Berlusconi bis e ter con Moratti per finire con Renzi e Giannini.
Tutti uniti dal medesimo fine, come si può constatare dalle condizioni in cui si versa la scuola in Italia: il fine di modificare l’istruzione. La scuola, da presidio culturale e ugualitario, è diventata una palestra liberista, utilitarista e imprenditoriale che collocherà gli studenti in uno schedario digitale a diposizione delle imprese europee. Si inizia con il mezzo milione di maturandi che saranno valutati col maxi orale e catalogati.
Nel c.d.s. saranno registrate tutte le attività di ogni studente. Per due terzi le attività fornite dalla scuola, per un terzo quelle che la famiglia potrà garantire in base alla propria disponibilità economica. Fatto che attira sul curriculum le accuse di neoliberismo, classismo, discriminazione di censo, di trasformazione degli studenti in risorse economiche, e della scuola in strumento per una definitiva finalizzazione materiale, strumentale e utilitaristica della cultura.
Gli schieramenti sono facilmente intuibili: a favore del curriculum figurano Fondazione Agnelli, Treelle, OCSE, gruppo San Paolo e Associazione nazionale presidi, per citare i più noti. Strano ma vero, alcuni tra questi sostengono trattarsi di uno strumento progressista e riformista, secondo un espediente sofistico.
Invece, (quasi) bene dice la sottosegretaria all’istruzione Barbara Floridia che suggerisce di inserire tra le esperienze curriculari soltanto quelle offerte dalla scuola per non creare discriminazioni. Soluzione corretta, se soltanto l’autonomia scolastica non avesse già creato e radicato disparità, concorrenza e competizione tra scuole, più e meno ricche, più e meno privatizzate, più e meno capaci di commercializzarsi, più e meno favorite dal territorio etc. etc, con l’effetto di spostare il problema senza risolverlo. Per il quale ci vorrebbe ciò che inutilmente si auspica: omogeneità, inclusione, eguaglianza. O semplicemente l’applicazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana.
Roberto Calogiuri