Cambiamenti climatici e disastri ambientali. Che fare se la mucca inquina?
Trieste – A Londra occupano i ponti per protestare contro i cambiamenti climatici. In Francia, invece, ci scappa il morto durante una manifestazione dei gilet gialli che non vogliono il rincaro del petrolio, misura che dovrebbe contrastare il cambiamento climatico ma penalizzerebbe le classi meno abbienti.
È noto che minore è il costo della la benzina, più le persone usano l’automobile, il che aumenta l’inquinamento che aumenta l’effetto serra che aumenta il riscaldamento terrestre che provoca il cambiamento del clima che provoca i disastri ambientali che – purtroppo – ben conosciamo perché sono sempre più diffusi.
Ma la colpa non è solo della benzina e dei combustibili fossili. Se i ghiacciai si sciolgono, se scoppiano fenomeni estremi e contrari come furiosi incendi da una parte e terribili tempeste di pioggia dall’altra, se terre inaridite dalla siccità coesistono con quelle sommerse dalle acque marine, la responsabilità non è solo del petrolio.
Studi recenti sostengono che un’utilitaria inquina quanto una mucca. Forse un po’ meno di una mucca. Puntiamo tutti l’indice contro i combustibili fossili. Però non tutti sanno quello che Kip Andersen e Keegan Kuhn raccontano nel loro film Cowspiracy: The Sustainability Secret, il cui titolo è un gioco di parole tra mucca e cospirazione
Si tratta di un lungometraggio del 2014, autofinanziato, il cui produttore esecutivo è Leonardo Di Caprio che, due anni più tardi, avrebbe prodotto Before the Flood (Punto di non ritorno) assieme a Martin Scorsese.
Tutti si si ispirano al documentario di Al Gore, Una scomoda Verità del 2007, e tutti hanno in comune la volontà di far conoscere quello che il sistema vuole nascondere alla gran parte degli abitanti della terra. I quali continuano a comportarsi come se nulla fosse, come se i disastri ambientali non facessero parte della propria vita ma solo della vita di chi li prova sulla propria pelle.
Prima di raccontare il segreto della sostenibilità, Andersen racconta una serie di suoi atteggiamenti. Atteggiamenti tipici – dice con autoironia – dell’ambientalista ossessivo compulsivo: cambia radicalmente il proprio stile di vita. Differenzia la spazzatura, raccoglie l’umido nella compostiera, sostituisce le lampadine con quelle a basso consumo, fa docce brevi, chiude l’acqua mentre si spazzola i denti, spegne le luci quando non soggiorna in una stanza, si muove in bicicletta, è vegetariano. Fa come fanno molti (però mai abbastanza) di noi.
E come molti di noi, si accorge che nonostante i suoi sforzi, nel corso degli anni, la situazione va sempre più peggiorando.
Alla fine, quello che Andersen si chiede, e che anche noi ci chiediamo è: ma tutto questo serve a qualcosa? E anche se tutti, ma proprio tutti, adottassimo queste misure, servirebbe a salvare la Terra? E poi: cos’è ciò che l’edizione italiana insinua nel sottotitolo come Quello che il sistema non vuole che tu sappia?
Tormentato da questo dubbio, un giorno Andersen legge un rapporto delle Nazioni unite dove trova che l’allevamento degli animali produce più gas serra di tutti i trasporti aerei, terrestri e marittimi messi insieme: il 18% dei gas serra è prodotto dagli allevamenti animali, rispetto al 13% prodotto dai combustibili fossili.
Il fatto è che le mucche, con la digestione, producono metano. E il metano animale è tra le 25 e le 100 volte più distruttivo dell’anidride carbonica delle automobili. Anche Di Caprio ripesca l’argomento.
Ma Andersen va più a fondo nel problema. Fornisce la prova che il consumo di risorse e il degrado ambientale provocato dagli allevamenti è ignorato dalle principali associazioni ambientaliste mondiali che spesso sono colluse con i produttori di carne.
Ma il metano prodotto dalla digestione animale non è l’unica causa del deterioramento ambientale. Per fare un hamburger si impiega lo stesso quantitativo d’acqua che una persona impiega per farsi la doccia in due mesi. La conclusione è che le grandi compagnie petrolifere non sono le uniche a influenzare la politica Usa: ci sono anche (e in misura maggiore) le industrie della carne che inquinano e impoveriscono le risorse naturali.
Alla fine, Andersen dimostra che esiste un collegamento tra la nostra dieta e i cambiamenti climatici. E poi che non basta essere cittadini vegetariani, virtuosi e consapevoli. Di Caprio, nel suo Before The Flood, completa il quadro dimostrando quanto sta accadendo ai giorni nostri: che i politici sono spinti a scelte vantaggiose per l’ambiente – come la Carbon Tax o Ecotassa – solo se i cittadini manifestano la volontà di cambiare le cose e minacciano di non votarli più. Occupando i ponti, per esempio.
In copertina: un fotogramma di Before the Flood