A scuola come al supermercato. Si riapre, ma con un occhio al risparmio
Durante il lockdown si era profilata la possibilità che effettivamente si fosse alla vigilia di una svolta. Ma non è così. Almeno per la scuola, la grande progettualità rivoluzionaria e innovativa ha mostrato la sua trama demagogica, ha lasciato il posto alla solita constatazione che decenni di indifferenza politica ed economica verso la scuola italiana e la sottomissione del processo educativo alle leggi di mercato, hanno consolidato soltanto – come ben raccontò Vitaliano Brancati – l’arte di arrangiarsi.
Dopo riflessioni e ripensamenti quasi quotidiani su come riaprire le scuole e dopo le ingegnose strategie del comitato scientifico, dopo riunioni stato-regioni, vertici ministeriali, audizioni parlamentari e sinergie tra Miur e Ministero della Salute, la scuola italiana riapre i battenti.
Finalmente governo e Miur hanno trovato l’accordo sul metodo più efficace per tornare con la scuola “in presenza”. E dopo mesi e mesi di ponderate meditazioni, come protocollo da osservare per l’apertura del prossimo anno scolastico ci si aspettava qualcosa di clamorosamente innovativo e progredito. Invece la formula risolutiva è quella più rodata, affinata, semplice e sperimentata. Si farà come al supermercato: mascherina, disinfezione delle mani e distanza di sicurezza.
Infatti, gli alunni dotati di protezione – fornita dalla scuola secondo quanto sta vantando il Miur – si disporranno in fila indiana sul marciapiede, in corrispondenza dei segnaposti dipinti per terra (a quinconce, ci si aspetta…)
A gruppi intervallati dal suono della campana, entreranno in fila indiana distanziati di almeno un metro. Prenderanno posto su banchi singoli, anche questi distanziati di un metro (lo stesso metro da mantenere tra le rime buccali – come prescritto dalla ministra Azzolina con termine proprio anche se desueto). Dovranno tenere gli indumenti sulla spalliera della propria seggiola e gli zaini accostati, per evitare avvicinamenti e contatti in prossimità degli appendiabiti.
Per lo stesso motivo ognuno dovrà avere con sé il proprio materiale didattico, perché non ci si potrà avvicinare a un compagno con la scusa di essersi dimenticati il libro; e poi non ci saranno lavori di gruppo e tanto meno uscite didattiche o progetti che le prevedano.
In definitiva non sarà come al supermercato: sarà molto peggio. Perché durante la spesa, almeno ci si può muovere e la permanenza nel supermercato è limitata. A scuola, invece, si dovrà stare seduti al proprio posto, non ci saranno intervalli lunghi e non ci si potrà spostare all’interno dell’edificio né della classe come era abitudine. Le unità orarie saranno ridotte in modo da far durare questa presenza immobile e forzata il meno possibile, ma pur sempre della durata di tre o quattro ore di orologio.
Almeno si spera. Perché ancora non è dato sapere come reagiranno alunne e alunni in esuberante età scolare a un’improvvisa e forzata immobilità, e senza lo sfogo dell’ora di ginnastica (a meno che non si garantiscano due metri di distanza e spogliatoi spaziali). A maggior ragione per il fatto che queste misure di sicurezza dovranno essere rigorosissime e inderogabili perché, contrariamente a quanto proclamato a gran voce dal Miur, le classi pollaio rimangono classi pollaio. Infatti, lo scorso anno non c’è stata la rituale selezione dei “ripetenti” e quindi non sarà attuato l’unico provvedimento capace di mettere in sicurezza la scuola, ovvero classi di dieci/dodici studenti. Per di più, di nuove assunzioni – per ora – non c’è segno. Forse saranno assunti a tempo determinato cinquantamila docenti licenziabili alla fine dell’emergenza. Senza contare il caos dovuto agli errori nelle graduatorie con relativi ritardi delle nomine dei supplenti.
In sintesi – una volta chiuse le discoteche – la scuola sarà il luogo dove si verificherà il massimo assembramento possibile. Un luogo organizzato e disciplinato con provvedimenti ministeriali che prevedono – com’è secolare tradizione in Italia – la minore spesa possibile ed è lasciato – grazie all’autonomia scolastica – al senso pratico e all’inventiva dei singoli dirigenti.
Il tutto senza considerare che, per andare a scuola, gli studenti prenderanno mezzi pubblici per i quali esistono , sì, delle regole – come occupare al massimo il 70-80% dei posti disponibili – ma senza nessuno che possa garantirne l’osservanza. Viaggeranno ammassati e accalcati per poi distribuirsi, e al caso pranzare, secondo le regole rigorose del distanziamento.
Eppure il mantra del governo è riaprire le scuole a qualunque costo. Nessuno dei governanti – specie in prossimità di elezioni regionali – vuole avere contro un esercito di genitori votanti che non sa o non può organizzare la vita familiare e lavorativa con i figli a casa. Il Covid19 ha provato in maniera incontrovertibile che la scuola non è più tanto un’istituzione culturale quanto un servizio pubblico di custodia e sorveglianza di minori, senza il quale viene meno la libertà genitoriale di svolgere le proprie attività.
E tuttavia non tutti i genitori sono soddisfatti di questo tipo di soluzione “in presenza”: in molti temono che questi provvedimenti di fortuna possano pregiudicare la salute dei propri figli, soprattutto per il fatto che l’età media dei contagiati si sta abbassando. Oppure temono che in tali condizioni di costrizione non ci sia un miglioramento rispetto alla Didattica a Distanza che ora si chiamerà Didattica Digitale Integrata: perché la parola Distanza mette ancora troppa paura a chi si attende la gratifica del consenso degli alfieri della presenza.
Non era così durante l’estate, quando sembrava che una pioggia di euro fosse pronta a cadere per rendere le scuole sicure: con spazi adeguatamente estesi e classi dimezzate grazie all’assunzione di nuovo personale. Invece ancora una volta, in Italia come in alcuni paesi del terzo mondo, si dimostra che il numero degli studenti per classe non è definito da esigenze didattiche o pedagogiche, ma dai metri quadrati dell’aula.
E allora niente. Solo banchi monoposto (con rotelle?) che tardano ad arrivare e undici milioni di mascherine al giorno che, essendo monouso, produrranno una quantità gigantesca di nuova immondizia da smaltire.
Ormai pochi organi di informazione lo dicono, ma molti insegnanti – in queste ore – si sono incatenati davanti al Miur per protestare. Protestano per la sicurezza propria e degli studenti; contro le incertezze di questa riapertura; contro i provvedimenti casuali e travestiti da scienza; perché i medici dell’Asl che dovranno vigilare sulle scuole sono – in media – uno ogni 23 istituti; perché il 40% degli insegnanti sono ultra 55enni e quindi a rischio. Perché, come al solito, nella scuola nessuno vuole investire.
Roberto Calogiuri