Invalsi, istruzione e fascismo. Da dove arrivano i test che fanno discutere?
Trieste – Dei test INVALSI si scrive e si parla moltissimo. Tra i dispositivi che sono entrati a fare parte della scuola, questi rilevamenti sono tra quelli ritenuti più invasivi, invadenti e sgraditi da buona parte di studenti genitori e docenti.
Indagano sulle famiglie, la loro composizione, lingua, cultura e titolo di studio. Non sono anonimi come si sostiene siano. Propongono domande discutibili sul piano didattico. Saggiano competenze e non conoscenze. Inducono un tipo di attitudine consumista con i loro quesiti su corsi di tennis, consumi di automobili, campeggi e contratti telefonici più vantaggiosi.
Generano il sospetto che servano le lobby industriali e imprenditoriali.
Anche sul loro meccanismo di accertamento ci sarebbe molto da dire, e lo si è fatto. Ogni anno, a maggio, la rete è invasa non solo dagli articoli della stampa, ma anche dalla reazione degli studenti e dalle risposte provocatorie fotografate e pubblicate on line, nonostante il tassativo divieto. E già questo è un segno del basso indice di gradimento.
Quest’anno, per di più, il sito medesimo dell’Invalsi ha pubblicato una nota in cui sostiene la scarsa ricaduta dei test.
Nel vasto coro di critiche epistemologiche, scientifiche, filosofiche e psicopedagogiche, si può aggiungere una notazione storica che può aiutare a comprenderne lo spirito, a inquadrare il fenomeno da un’angolazione ideologica e programmatica.
L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e Formazione (INVALSI) nasce dalla progressiva trasformazione – dovuta agli eventi sociali, politici e culturali italiani – di uno dei dieci Centri Didattici Nazionali che furono istituiti tra il 1941 e il 1942 da Giuseppe Bottai, governatore di Roma, di Addis Abeba e quindi Ministro dell’Educazione Nazionale sotto Benito Mussolini.
La concatenazione degli eventi è molto chiara: questi centri sono rilanciati nel 1951 per rianimare la vita scolastica sulle rovine della seconda guerra mondiale. Nel 1960 uno di questi centri con sede a Frascati (nella nota Villa Falconieri) è trasformato in Centro Europeo dell’Educazione, il CEDE.
Quindi, nel 1999 il CEDE diviene INVALSI con il decreto legislativo n. 258 del 20 luglio. E da questo punto la storia è nota.
Nella lista di eredità del fascismo, dunque, accanto alle prime autostrade e alle leggi razziali, c’è anche l’Invalsi con i suoi test e le sue prerogative di ispezione, controllo e – quindi – di condizionamento di tutte le parti in causa.
Né la cosa stupisce più di tanto, se si considera in quale configurazione si collochino questi test.
Il sistema che ha imposto i test Invalsi è il medesimo che ha prodotto l’alternanza scuola lavoro, il registro elettronico, la gamificazione e il liceo breve. Ciò che questi dispositivi hanno in comune è l’esercizio di una forma di controllo e di condizionamento – culturale, formativo e ambientale – attraverso la misurazione e la valutazione. Cosa che diviene coercitiva quando agganciata agli esami di stato.
Il controllo esercitato sullo studente nel corridoio famiglia-azienda è garantito dall’istituzione scolastica attraverso l’alternanza scuola lavoro ed è corroborato e sostenuto dal controllo dell’Invalsi sul nesso insegnamento-apprendimento e sulla qualità della famiglia con il questionario rivolto allo studente.
Il registro elettronico permette ai genitori di esercitare direttamente il controllo sul rendimento e la frequenza di ogni studente e sui programmi svolti, e permette alla dirigenza di controllare quantità e qualità dell’operato degli insegnanti.
La gamificazione aggancia gli studenti all’uso dei dispositivi elettronici e quindi a un modello di apprendimento mediante la sostituzione della presenza in aula con modalità tipiche dell’approccio di digital learning, ossia la sostituzione del contatto diretto tra docente e studenti e il suo controllo attraverso le piattaforme digitali che diventano un sistema didattico.
Il liceo breve in quattro anziché in cinque anni comprime ritmi di apprendimento, saperi e conoscenze e anticipa l’ingresso nel mondo del lavoro favorito dall’alternanza scuola lavoro.
E il cerchio si chiude.
[Roberto Calogiuri]