A Trieste si prospettano “zone rosse”. L’opposizione: meno repressione, più integrazione
Trieste – Il 15 gennaio il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica di Trieste si è riunito per deliberare sull’istituzione delle cosiddette “zone rosse” in specifiche aree della città, con l’obiettivo di contrastare la microcriminalità e migliorare la sicurezza urbana.
Le zone interessate includerebbero piazza Goldoni, largo Barriera, piazza Garibaldi e piazza Perugino, aree identificate come particolarmente esposte a fenomeni di criminalità diffusa, quali risse e comportamenti molesti.
All’interno di queste “zone rosse”, sarà vietato sostare per individui con precedenti penali o segnalazioni per reati contro la persona, il patrimonio o legati agli stupefacenti. La violazione di tali disposizioni comporterà sanzioni penali e l’adozione di misure come il DASPO urbano o l’avviso orale da parte del Questore.
Queste misure dovrebbero rimanere in vigore fino al 31 marzo 2025, con un incremento dei controlli nelle aree designate. Già dal prossimo fine settimana, è prevista una presenza costante delle Forze dell’Ordine nelle zone interessate. Parallelamente, il Sindaco di Trieste sta valutando l’introduzione di ordinanze per limitare gli orari di vendita e somministrazione di bevande alcoliche, nonché per regolare l’apertura di attività alimentari nelle aree più sensibili.
L’opposizione
L’opposizione politica cittadina, da parte sua, sostiene che più che ad azioni repressive si dovrebbe piuttosto ricorrere a politiche di integrazione per affrontare le radici della microcriminalità, che spesso affondano in mancato riconoscimento e scarsa assistenza sociale.
Inoltre, la definizione di “zona rossa” può portare come effetto collaterale il rafforzamento della percezione di insicurezza e di conseguenza la stigmatizzazione dell’area, disincentivando la frequentazione da parte dei cittadini, che non si sentono più a loro agio a percorrerla e ad abitarci.
Questo potrebbe ridurre il flusso di attività sociali e commerciali, contribuendo ulteriormente al degrado. Meno presenza di “normali cittadini” spesso significa minore sorveglianza sociale naturale, un fattore che, in molti casi, può incrementare fenomeni di criminalità o abbandono.
Etichettare un’area come “zona rossa” può condizionare negativamente l’immaginario della comunità, danneggiando irreparabilmente la reputazione della zona. Questo è un tema delicato che richiede una gestione equilibrata, bilanciando le necessità di sicurezza con interventi mirati alla rigenerazione urbana e al coinvolgimento della comunità.
Cosa sono le “zone rosse”
Le “zone rosse” sono aree urbane specifiche in cui viene vietata la presenza di individui ritenuti pericolosi o con precedenti penali, al fine di garantire la sicurezza pubblica e la piena fruibilità degli spazi cittadini. Questa misura è stata introdotta dal Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, attraverso una direttiva inviata ai prefetti, con l’obiettivo di contrastare fenomeni di criminalità diffusa e degrado urbano.
Le ordinanze che istituiscono le “zone rosse” sono particolarmente utili in contesti caratterizzati da fenomeni di criminalità diffusa e situazioni di degrado, come le stazioni ferroviarie e le aree limitrofe, nonché le “piazze dello spaccio”, dove sono già in atto operazioni interforze ad alto impatto. Inoltre, queste misure possono essere applicate in altre aree urbane, come le zone della movida, caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali, dove si registrano spesso episodi di microcriminalità, violenza, vandalismo, abuso di alcol e degrado.
L’implementazione delle “zone rosse” prevede che le forze dell’ordine possano allontanare immediatamente i soggetti indesiderati dalle aree designate. In caso di violazione del divieto di accesso, sono previste sanzioni che possono includere fino a tre mesi di carcere e una multa fino a 200 euro.
Questa strategia è stata già applicata in città come Firenze e Bologna, dove, negli ultimi tre mesi, sono stati emessi 105 provvedimenti di allontanamento su 14.000 persone controllate.