In acqua vestite, flash mob di solidarietà con le donne musulmane. Ma la questione è più complessa di un bagno al mare
Trieste – Triestine in acqua vestite la mattina di domenica 20 agosto nello stabilimento balneare “La Lanterna”, storico lido di Trieste dove tuttora vige la separazione tra donne e uomini.
Il “flash mob” si proponeva di dare sostegno alle donne musulmane, oggetto di critiche nei giorni scorsi da parte di alcuni frequentatori dello stabilimento balneare per essere entrate in acqua con indosso gli abiti tradizionali.
Alla manifestazione hanno preso parte una cinquantina di donne. Alcune di loro sono entrate in mare, tenendosi per mano, con i propri vestiti addosso in segno di solidarietà.
Il “flash mob” – della durata di una trentina di minuti – non era sponsorizzato da partiti né da altre organizzazioni: si è trattato di una bonaria manifestazione di amicizia e solidarietà.
Come riporta il quotidiano locale “Il Piccolo”, non sono mancati insulti razzisti e sessisti. Non sono intervenute le forze dell’ordine.
La complessa questione dell’abito femminile nell’Islam
La questione dell’abito per le donne musulmane non è semplice, tanto che da tempo è oggetto di dibattito in molti Paesi europei tra cui il nostro.
In Italia vige, ad oggi, la legge 22 maggio 1975, n. 152 in materia di disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, che vieta di coprirsi completamente il volto nei luoghi pubblici (ciò vale anche nel caso del casco da motociclismo). È a questa legge che taluni amministratori locali hanno fatto riferimento per varare una serie di ordinanze che vietano a livello locale il velo integrale o il burkini (il costume da bagno islamico).
Fu proprio in Friuli Venezia Giulia che si verificò il primo caso del genere. L’allora sindaco del comune di Azzano Decimo Enzo Bortolotti (Lega Nord) nel 2004, con l’ordinanza n. 24 in materia di pubblica sicurezza, aveva espressamente incluso tra i «mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona» anche «il velo che copre il volto», tra cui il burqa e il niqab.
Tale ordinanza era stata poi annullata dal prefetto competente e inoltre censurata dal Consiglio di Stato, sezione VI, decisione n. 3076 del 19 giugno 2008, il quale ha chiarito che, pur in assenza di una previsione esplicita, è possibile far rientrare tra i giustificati motivi che consentono di coprire il volto anche i motivi religiosi o culturali. Secondo il Consiglio di Stato la legislazione vigente consente l’uso di indumenti quali il burqa e il niqab anche in luogo pubblico perché il motivo religioso rientra tra i «giustificati motivi» che escludono l’ambito di applicazione dell’articolo 5 della legge n. 152 del 1975.
Viste le polemiche innescate in questi giorni sulle spiagge, sarebbe opportuno che fosse il legislatore nazionale a disciplinare la materia. Infatti, affidare alle sentenze delle corti un’interpretazione di volta in volta restrittiva o estensiva, nell’attuale incertezza normativa, rischia di creare confusione in una materia delicata e carica di implicazioni non solo per la sicurezza pubblica ma anche per i risvolti sociali, culturali, religiosi e politici.
Principi costituzionali
Decisioni non facili dato che in relazione alla cultura ed alla religione islamica occorre considerare almeno due principi fondamentali della nostra Costituzione: libertà religiosa ed eguaglianza sostanziale delle persone.
La copertura integrale del volto femminile non è semplicemente un costume diverso dai nostri. In molti Paesi islamici è la manifestazione visibile di una concezione che vede la donna inferiore all’uomo, sottomessa alla volontà del marito e dei parenti di sesso maschile. Questo lo dicono pubblicamente molte donne che in quei Paesi si battono per l’emancipazione femminile.
La nostra Costituzione tutela la parità tra uomo e donna (art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]).
Con la consapevolezza che parità ed eguaglianza sono tuttora più delle mete che un dato di fatto, e non solo per le donne musulmane.