Al Parco di San Giovanni a Trieste una giornata sul futuro della salute mentale dedicata a Franco Rotelli
Trieste – Si svolge sabato 6 maggio alle ore 10.30 a Trieste, presso il Roseto del parco di San Giovanni una giornata sul futuro della salute mentale dal titolo “Toccare la terra, bagnare le rose, cambiare le cose” dedicata a Franco Rotelli, recentemente scomparso.
Rotelli fu uno dei protagonisti, assieme a Franco Basaglia, della riforma che 45 anni fa ha sancito la chiusura dei manicomi. Avviò la costruzione di una rete di servizi comunitari di salute mentale e fu artefice, negli anni Novanta, dell’organizzazione di sistemi di salute territoriale, dei progetti habitat/microaree, di strategie e pratiche di cooperazione e impresa sociale.
Interverranno tra gli altri Dévora Kestel, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale e Abuso di sostanze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e Giovanna Del Giudice, psichiatra, presidente di COPERSAMM, Conferenza per la Salute Mentale nel Mondo Franco Basaglia.
Salute mentale e psichiatria, una visione nuova
A 45 anni dall’approvazione della legge 180, a pochi giorni dai tragici fatti di Pisa, a quasi due mesi dalla morte di Franco Rotelli, l’associazione Copersamm-Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo Franco Basaglia promuove un momento di confronto e di scambio tra coloro che operano nella salute, nella salute mentale, nel sociale, nella cultura per ri/cercare e trovare i fili e gli intrecci di un’azione comune e collettiva.
Per continuare ad interrogarsi su cosa significa fare salute e fare salute mentale, sul ruolo degli operatori e delle operatrici in una città che cura, sul ruolo della politica, sull’attualità dell’opera teorico-pratica di Franco Basaglia e Franco Rotelli.
«Forse – affermava Rotelli – si è guardato troppo alla psichiatria e troppo poco alla salute mentale. Guardare alla salute mentale significa andare ben oltre. Vuol dire guardare a come sta la gente e quindi travalicare i confini di malattia non-malattia. Vuol dire parlare di cosa fa star bene e cosa fa star male le persone, e come cercare di far qualcosa per farle stare meno male».
In un momento in cui è in atto a più livelli il tentativo di impoverimento della sanità pubblica e in cui riemerge la paura dell’altro, in particolare delle persone con problemi mentali, detenute e migranti, è quanto mai importante ascoltare la voce di chi opera nei sistemi di salute, welfare, cultura, impresa sociale.
Per questo sabato 6 maggio, a partire dalle ore 10.30, nel roseto del Parco di San Giovanni a Trieste, lì dove sorgeva l’ospedale psichiatrico e dove Franco Rotelli ha voluto dar vita a un roseto diffuso per piantare bellezza sull’orrore del manicomio, ognuno potrà prendere parola.
«Negli ultimi sessant’anni» afferma la psichiatra Giovanna Del Giudice, presidente di Copersamm, «molto è stato fatto, abbiamo tra l’altro smantellato il manicomio, ma molto bisogna ancora fare. Oggi, di fronte a servizi sociosanitari particolarmente indeboliti dal punto di vista culturale, delle risorse, del modello organizzativo, è fondamentale sviluppare pensiero critico e collettivo a partire dalle sollecitazioni di maestri come Basaglia e Rotelli».
«Ci pare di valore poter ascoltare chi nei prossimi vent’anni avrà la responsabilità della salute dei cittadini, e non solo, assieme alla massima rappresentante delle istituzioni che si occupano di salute mentale nel mondo, la direttrice dell’OMS Dévora Kestel. Solo rimettendo al centro la persona, e non la malattia, e promuovendo diritti, protagonismo e partecipazione potremo uscire dalla crisi: l’agire collettivo è l’unica risposta vincente.»
La giornata, aperta a tutte e a tutti, sarà condotta dal giornalista Massimo Cirri e prevede — dopo i saluti delle autorità e una mattinata di contributi su “Psichiatria o Salute mentale”, “La logica del terzo” e “La città che cura” — alle ore 13 l’intervento di Dévora Kestel, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale e Abuso di sostanze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nel pomeriggio, dopo un confronto su “Servizi pubblici” e “Impresa sociale”, alle ore 16.30 si svolgerà un concerto della Maxmaber Orchestar e alle ore 17 avrà luogo l’inaugurazione della mostra fotografica “Leros” curata da Antonella Pizzamiglio.
La mostra “Leros”
1989. Il viaggio della fotografa Antonella Pizzamiglio è diretto a Leros, isola greca del Dodecanneso, dove si trova uno degli ultimi lager psichiatrici della nascente Unione europea.
Leros è un’isola greca, ex colonia italiana e attualmente meta turistica dalle bellissime spiagge. Nel 1989 la descrizione sarebbe stata diversa: prima un’isola di pescatori e dopo la dittatura dei colonnelli sede di deportati politici e malati di mente, che, senza famiglia o indesiderati per mancanza di posti in altre strutture, venivano portati su quest’isola.
Mussolini aveva lì la base aereo navale per controllare il Mediterraneo; perciò, c’erano immensi padiglioni sull’isola. Con il tempo le grandi strutture sono diventate un luogo per detenere persone con disagi psichici e fisici.
Franco Rotelli aveva inviato lì una giovanissima fotografa, Antonella Pizzamiglio, per realizzare un reportage in quello che è stato definito come il peggior manicomio mai visto al mondo.
Le sue fotografie, che hanno denunciato una realtà tenuta meticolosamente nascosta, hanno permesso l’intervento della Comunità Europea che nel 1990 ha finanziato un progetto grazie al quale sono state cambiate le sorti di migliaia di persone.
Nel 1989 si sarebbe svolto ad Atene il Congresso mondiale di psichiatria e una settimana prima Rotelli, in accordo con uno psichiatra del posto, Iannis Lukas, decise di esporre il problema umanitario dell’isola proprio nella capitale greca.
Le fotografia di Antonella Pizzamiglio sono un pugno nello stomaco e esprimono la sofferenza di quelle condizioni al limite della sopravvivenza. Le fotografie sono raccolte ora in un libro dal titolo “Leros. Il mio viaggio” e hanno fatto la storia della liberazione.
“Nel manicomio di Leros, che verso la fine degli anni ’70 era giunto a contenere quasi tremila internati provenienti da tutta la Grecia, ho realizzato il mio primo reportage” scrive Pizzamiglio.
Donne, uomini, bambini ammassati nelle vecchie caserme della Marina militare italiana che dal 1912 aveva installato a Leros il suo quartier generale.
“Per la prima volta a ventitre anni mettevo piede in un ospedale psichiatrico, per la prima volta la macchina fotografica penetrava clandestinamente nel manicomio per strappare le immagini più nascoste … In una lotta contro il tempo, in un corpo a corpo tra me e l’immagine da rubare, contro la mia stessa capacità/possibilità di riuscire a guardare quello che vedevo… Di lì a dieci giorni si sarebbe svolto ad Atene il Congresso mondiale di psichiatria, era urgente documentare quella drammatica situazione non solo con le parole ma con le immagini”.
“Alla fine degli anni Ottanta una giovane fotografa sufficientemente sprovveduta, adeguatamente incosciente per essere in grado di infiltrarsi in luridi meandri di un lager insulare ruba cento scatti all’omertà, al nascondimento, alla vergogna di un paese, di una cultura, di una professione”.
Le prime pagine di alcuni quotidiani europei ne avevano già segnalato l’esistenza, ma Antonella Pizzamiglio documenta, illustra, si sofferma, ci sta sopra, coglie l’enormità di quel che vede: consegna il servizio fotografico e ai funzionari dell’Unione Europea i documenti spalancano necessità – possibilità di intervenire.
Due équipes da Maastricht e da Trieste poterono quindi essere inviate dall’allora Comunità europea a Leros e in un tempo non certo breve ma decisivo cambiarono radicalmente i destini del luogo e degli internati.
“Un’altra occasione – scriveva, nel 2017, lo stesso Franco Rotelli, in occasione di un tour della mostra – per decidere ruolo e importanza del compito di non nascondere nulla, svelare realtà, conoscere per trasformare: l’uso straordinario di uno strumento straordinario perchè nessuno potesse più dire di non sapere e perchè nessuno possa più dire in futuro che le cose non stavano così.