“Lelio Luttazzi e la settima arte: musicista, attore e regista” di Nadia Pastorcich. Intervista con l’autrice
Gorizia – “Lelio Luttazzi e la settima arte: musicista, attore e regista” di Nadia Pastorcich verrà nuovamente presentato, martedì 14 dicembre alle 18.00 alla Mediateca Ugo Casiraghi di Gorizia, a dialogare con l’autrice Silvio Celli.
Libro con la prefazione di Gianni Morandi, “La mia università è stata la vita e Lelio è stato uno dei miei maestri”, offre, anche a chi già conosce la figura del maestro Luttazzi, un attento lavoro di ricerca che mette insieme la filmografia, composta prevalentemente delle colonne sonore e non solo. Arricchito da un corredo fotografico che impreziosisce la narrazione.
Nadia, giornalista e fotografa, nasce a Trieste e si laurea in Scienze della comunicazione e in Scienze del patrimonio audiovisivo e dei nuovi media. All’attivo collaborazioni con varie riviste. La sua passione per il cinema l’ha portata a partecipare al film La legge degli spazi bianchi – tratto dal romanzo di Giorgio Pressburger, presentato alla 76.ma Mostra del Cinema di Venezia.
Appassionatasi da adolescente al cinema di un tempo, Nadia Pastorcich con il passare degli anni ha maturato la necessità di raccogliere testimonianze di chi il Novecento l’aveva vissuto e “Lelio Luttazzi e la settima arte: musicista, attore e regista” – edizione Mgs Press – è il suo ultimo libro.
Proprio Lelio Luttazzi come tuo primo libro, ci racconti.
Per me nulla avviene per caso. Con il passare del tempo, avvenimenti o fatti che abbiamo toccato con mano acquisiscono un significato. Questo è successo tra me e Lelio Luttazzi.
Alle scuole medie avevo un’insegnante di musica molto particolare che ci portava a fare lezione in un’aula nel sottotetto della scuola. Lei suonava un pianoforte un po’ sgangherato e noi la accompagnavamo cantando o con qualche strumento. Arie di opere, canzoni romane, napoletane e.. anche triestine tra le quali quelle di Luttazzi. Poco prima di iniziare le superiori, scoprii il cinema di una volta che mi conquistò immediatamente.
Amavo quel tempo lontano, ma che sentivo vicino. Il 15 agosto del 2009 – avevo quattordici anni – andai in Piazza Unità. Lelio Luttazzi stava suonando davanti a un pubblico numeroso. Quando sentii “Hello Dolly”, pensai: “Oltre a me c’è ancora qualcuno a cui piacciono queste musiche!”. Fu il suo ultimo concerto.
Al primo anno universitario iniziai a studiare cinema e giornalismo. Parallelamente cominciai ad intervistare alcune persone per capire come si viveva una volta. Alcune delle persone che intervistai mi raccontarono qualcosa su Luttazzi e quando dovetti scegliere il tema per una tesina per un esame sui mass media, scelsi “La comunicazione secondo Lelio Luttazzi”. Pian piano mi ritrovai ad approfondire la sua carriera, in particolar modo quella cinematografica, poco conosciuta. Dalla tesi per la triennale a quella della magistrale, il lavoro si è evoluto fino ad arrivare a questo libro. Chiaramente è stato rivisto, rendendolo fruibile anche a chi non segue il cinema.
Cosa ti ha affascinato nella stesura del testo?
Scoprire l’Italia di una volta, è uno degli aspetti che mi ha affascinato molto. Da adolescente passavo molto tempo a guardare i film americani che vanno dagli anni ‘30 agli anni ’60. I film italiani non mi avevano ancora conquistata. Questo libro è stata l’occasione per approfondire la storia culturale-cinematografica del nostro Paese. Alle superiori, leggevo parecchi libri, scegliendo le biografie o ancora meglio le autobiografie dei “divi” di un tempo. Per questo mio libro ne ho lette diverse tra attori, attrici e registi italiani. Ho passato talmente tante giornate a cercare di comprendere un po’ com’erano gli attori che avevano lavorato con Luttazzi che a momenti mi sembrava di parlare con loro…una sorta di seduta medianica.
A quali fonti hai fatto riferimento?
Prima di tutto mi sono basata sui film musicati da Lelio Luttazzi e poi anche quelli che lo vedono attore. Li ho guardati numerose volte, prestando particolare attenzione al ruolo delle musiche in relazione a determinate scene, azioni e personaggi. A volte, quando guardiamo un film, non prestiamo attenzione ad ogni parte che lo compone. L’intervento musicale han un ruolo importante, può sottolineare un fatto, descrive la personalità di un personaggio, spiegare qualcosa che magari il piano visivo non riesce ad esprimere totalmente. Le altre fonti sono state i libri, le partiture, le interviste che ho fatto in questi anni, le riviste dell’epoca, gli archivi. Mi sono recata anche allo Studio Luttazzi – spazio permanente alla Biblioteca Statale Stelio Crise di Trieste, dedicato al Maestro – e alla Biblioteca Luigi Chiarini del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Credo sia fondamentale il lavoro che è stato fatto nel passato, perché se oggi possiamo scoprire cose nuove è anche grazie a ciò che viene lasciato da chi ha operato prima di noi. Le testimonianze sono preziosissime.
Se potessi consigliare il tuo libro a qualcuno che non conosce l’uomo Lelio Luttazzi cosa diresti?
Direi che Lelio è un uomo semplice, ironico, che ama parlare nel suo dialetto: il triestino. Un amico con il quale andare in osmiza. Luttazzi musicista ha lasciato un patrimonio musicale che non va dimenticato e la sua eleganza e il suo swing entrano nel cuore.
Ci racconti il tuo rapporto con la scrittura?
È un rapporto un po’ particolare. Da piccola passavo le giornate a disegnare. Tra un tema in classe e un disegno, sceglievo le matite, i pennelli, tanto da decidere di frequentare il Nordio, l’Istituto d’Arte di Trieste. Ho scritto, però, molti diari: mi piaceva l’idea di fissare nero su bianco momenti di vita. La scrittura è arrivata alla fine delle superiori. Sembrerà banale, ma ho cominciato a fare la giornalista e quindi a scrivere dopo la morte di Giuliano Gemma che avevo avuto modo di incontrare alla Mostra del Cinema di Venezia. La sua improvvisa scomparsa mi fece riflettere molto. Capii che tutto può finire quando meno te lo aspetti. Nulla è eterno, pertanto decisi di cominciare a intervistare attori, scrittori, cantanti, ma anche gente comune. Negli ultimi anni ho iniziato a scrivere anche alcuni testi per spettacoli teatrali. Trovo che la scrittura abbia un valore aggiunto nella funzione che svolge cioè: comunicare contenuti. A volte uso la macchina fotografica, altre la penna o la tastiera, altre ancora i pennelli.
Progetti futuri?
In questi anni ho ascoltato, raccolto, riflettuto. Sono stati preziosissimi gli incontri che ho avuto. Ora vorrei cominciare a costruire, a dare un senso a tutto ciò che ho assorbito. Intanto, in cantiere, c’è un altro libro, dedicato a un personaggio triestino che ho avuto modo di conoscere qualche anno prima che se ne andasse. Voleva che scrivessi un libro, che facessimo qualcosa assieme. Credo che sia arrivato il momento di farlo…