Danzando sul mito sumero per sconfiggere il diavolo a ImpulsTanz

Esistono gli amanti del balletto classico e coloro che oggi lo ritengono un’arte superata, anzi a tratti noiosa, almeno a far da spettatore. Poi esiste la danza contemporanea. Quella che è movimento, gesto, emozione, performance allo stato puro. Un’arte forse troppo di nicchia: a volte snobbata da chi è patito del classico, altre ignorata dal grande pubblico che paga lo scotto di un certo pregiudizio da superare.

Ragazzi o ragazze del ventunesimo secolo che si accostano alle nuove avanguardie, ne rimangono spesso folgorati, ma purtroppo in Italia, a parte qualche festival come quelli di Torino e di Roma (…un tempo anche Mittelfest, lo ricordiamo tutti!) sono poche le occasioni per farne esperienza e così rimane solo un sogno.

Vienna è vicina alla nostra regione e spesso offre a chi le cerca, opportunità del genere. ImpulsTanz sta per chiudere il suo mese di attività con il 15 di agosto e anche quest’anno ha proposto nomi del panorama mondiale, spettacoli interessantissimi, workshop e stage per tutte le età.

In questi ultimi giorni del festival viennese è in scena al Volkstheater l’ultima fatica della pluripremiata Akram Khan Company, “Outwitting the Devil” – Sconfiggendo il diavolo. Il coreografo titolare della compagnia di danza contemporanea britannica è un inglese di Wimbledon, la sua famiglia proviene dal Bangladesh e tale origine ha segnato i suoi primi passi nel mondo dell’arte tersicorea avendo intrecciato nei suoi studi da ragazzo di danza contemporanea con una pratica antica di danza tradizionale indiana. Oggi, Akram Khan ricerca con i suoi danzatori spunti da miti e racconti lontani per poter offrire al pubblico un’interpretazione alternativa del presente.

Lo spettacolo in questione ha debuttato nel 2019 e trova ispirazione nell’epopea sumera dell’eroe Gilgamesh. Sul palcoscenico, con un’energia dirompente, è narrata la volontà di potenza dell’uomo di ogni tempo che pur di incoronare la propria aspirazione, è disposto a schiacciare chi gli sta vicino, a distruggere il mondo attorno a sé, nella vana ricerca dell’eternità.

I gesti danzati sono forti, pieni di controllata energia e non smettono di tradurre in espressioni viscerali ciascuna nota del tappeto sonoro di forte impatto che accompagna gli ottanta minuti della performance. È una coreografia densa, senza alcun momento di pausa, né per gli interpreti che sostengono con forza straordinaria la tensione dello sforzo fisico e della comunicazione drammatica, né per gli spettatori catapultati in un vortice emotivo.

Un’intera squadra di artisti ha progettato assieme ad Akram Khan il concetto dello spettacolo, dalla narrazione drammaturgica che attraversa la danza, al disegno luci, all’immagine estetica sempre coerentemente correlata al preciso momento danzato.

Per la composizione musicale, la compagnia si è avvalsa della collaborazione di un italiano, Vincenzo Lamagna. Si tratta di un musicista che lavora principalmente a Londra e che coniuga musica elettronica e suoni acustici e orchestrali, costruendo veri e propri tessuti sonori che a volte appaiono come colonne sonore cinematografiche, altre come sfondi per ambienti distopici postindustriali.

Tom Scutt ha disegnato un ambiente ligneo e scuro, come fosse una grande scatola composta da tanti parallelepipedi di vaie misure. Sono ora reliquie di un mondo vegetale distrutto dall’umanità, come accade nel poema sumerico dove la foresta di cedri viene abbattuta perché l’eroe raggiunga il proprio scopo. Ora invece sembrano un luogo di condivisione, quale può apparire la tavola di un banchetto. Ora le vestigia di una città distrutta dal tempo, fra le cui rovine si erge solo un sepolcro destinato a uccidere per sempre la speranza dell’agognata eternità.

Il coniugarsi dei vari elementi, la musica di Lamagna, gli spazi, il disegno luce, la coreografia di Khan, produce un esito davvero straordinario. È ricomposta la memoria perduta di un antico mito fra le trame delle violenze dei nostri giorni, dove uomini e donne, immaginandosi dei, decidono il destino del nostro fragile pianeta.

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