Bruno, il più grande dinosauro quasi completo mai ritrovato in Italia, in mostra al castello di Duino
Trieste – Nel gennaio 2019 la Soprintendenza Archeologia belle arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, ha incaricato a titolo gratuito la ditta triestina Zoic – azienda leader nel settore della preparazione di reperti paleontologici a livello internazionale, che alla fine degli anni Novanta aveva estratto e preparato il noto dinosauro del Villaggio del Pescatore Antonio, sempre sotto la guida del geologo Flavio Bacchia – di “preparare” quanto oltre era stato estratto vent’anni or sono riguardante Bruno – il secondo dinosauro, quasi completo, proveniente dal Villaggio del Pescatore – e di scavare per finire di estrarre tutto le parti che erano rimaste nel terreno.
Alcuni blocchi di roccia con i resti di Bruno erano già stati portati alla luce ai tempi dell’estrazione di Antonio, ma non erano ancora mai stati eseguiti i lavori di preparazione dello scheletro fossile, mentre il cranio e la coda erano rimasti nel terreno: nel corso di questi mesi è stata ultimata l’estrazione e anche la lunga e meticolosa preparazione.
Ora Bruno può essere finalmente visto completo nella sua versione definitiva: il fossile sarà esposto al Castello di Duino, da sabato 7 dicembre (inaugurazione per stampa e istituzioni venerdì 6 dicembre) fino ai primi giorni del mese di marzo 2020 negli orari di apertura alle visite del Castello (ogni fine settimana e festivi – ad esclusione del 25 dicembre e 1^ gennaio – dalle 9.30 alle 16.00) con il biglietto di ingresso al Castello.
Il lavoro svolto dai tecnici triestini della Zoic che in questi mesi hanno estratto e preparato il cranio e la coda e portato a completamento le fattezze di Bruno (tre persone per 4 mesi e oltre 2000 ore di lavoro) ha permesso di ricomporre i blocchi che contengono il fossile e di comprenderne in gran parte la struttura.
Bruno è un adrosauro simile ad Antonio (dinosauro erbivoro dal becco ad anatra), lungo circa 5 metri, quindi supera di oltre 1 metro il “fratello”, con un peso di circa 600 Kg e un’età di oltre 70 milioni di anni. Come esemplare è sicuramente adulto, ma per ora non si può essere più precisi. La preparazione dell’animale, che ha seguito gli standard utilizzati alla fine degli anni 90 (sgrosso meccanico e rifinitura a getto d’acido formico) si è presentata molto complessa a causa della frammentazione del fossile. Alcune parti sono mancanti in origine e sono state restaurate in fase finale di lavorazione.
Curiosa la sua dislocazione su una piega degli strati che curvano il fossile su sé stesso per 180°, ma ancora ignota per ora la ragione della struttura geologica che contorce il dinosauro. Da un lato si trovano cranio, collo, dorso, dall’altro coda e zampe. La frammentarietà del reperto ha reso le operazioni di preparazione chimica molto delicate. Per prevenire potenziali effetti negativi si è ridotta la percentuale d’acido in uso, passando dal 8% al 4%, a titolo cautelativo. Ciò ha allungato i tempi di lavoro ma ha consentito una miglior calibrazione delle operazioni. Altro fattore di complicazione è la parziale disarticolazione dello scheletro, sempre in connessione anatomica, una delle peculiari caratteristiche dei fossili del sito paleontologico giuliano.
Bruno – La storia
La campagna di scavo del 1998 al Villaggio del Pescatore aveva come oggetto principale la rimozione dei blocchi contenenti il dinosauro Antonio. Sulla superficie topografica non erano evidenti tracce di altri reperti. Dopo il taglio con filo diamantato, taglio che ha creato l’attuale pavimento del sito paleontologico, i blocchi in cui si suddivideva naturalmente la roccia sono stati accatastati per consentire l’accesso al reperto. A taglio fresco, nonostante il lavaggio con idropompa, non si evidenziavano altri affioramenti.
Dopo due mesi di esposizione agli agenti atmosferici, il naturale cambio di colore della roccia per ossidazione rendeva evidente la presenza di altri fossili. In particolare, su un grande blocco alla sinistra presso l’ingresso del sito si notava una lunga struttura scura curva. Chiaramente un grande esemplare che, per la sua curvatura, veniva interpretato come il carapace di una tartaruga.
Questo il motivo per cui, nei primi diorami realizzati sull’ambiente del Villaggio del Pescatore sono presenti esemplari di testuggini (che certamente erano presenti all’epoca, ma mai rinvenute). Lo spostamento del blocco con il presunto carapace chiariva che non si trattava di tartaruga, ma di un altro dinosauro. Essendo il blocco numerato si esaminava la sua posizione di partenza e si notavano due sezioni ossee presenti sul piazzale. Le due sezioni non apparivano sullo stesso strato (calcare laminato) quindi si supponeva la presenza di due esemplari. La successiva constatazione che il dinosauro era ripiegato su sé stesso a 180° chiariva che le due sezioni erano relative al cranio e alla coda dello stesso animale.
La prima persona a notare questo dinosauro è stata Bruno Zoppolato, a suo tempo dipendente della ditta che effettuava i lavori: da qui il nome di Bruno dato al fossile.
Capita l’importanza del reperto si intraprendeva una minuziosa ricerca di altri frammenti di roccia contenenti parti dell’animale. Venivano individuato 818 frammenti di varie dimensioni. Di questi, in fase di preparazione e restauro, poco più di un terzo sono risultati utili alla composizione dello scheletro. Tutto il materiale è stato trasportato al Museo di Storia Naturale di Trieste, e accatastato nei sotterranei. Il blocco principale costituente Bruno, montato su apposito telaio, è stato esposto nel 2001 alla mostra “I dinosauri della regione Adriatica” allestita dalla Stoneage al Bastione Fiorito del Castello di San Giusto. Date le dimensioni ed il peso è stato trasportato a destinazione mediante elicottero.
Con il trasferimento del Museo da Piazza Hortis a via Tomiz anche i pezzi di Bruno sono stati spostati e rimessi nel nuovo scantinato. Solo il 12 febbraio del 2018, a fronte incarico da parte della Soprintendenza Archeologia belle arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia il materiale è stato trasferito nel laboratorio della Zoic (evoluzione della vecchia Stoneage) per essere definitivamente assemblato e preparato.
La fase iniziale del lavoro, ricerca delle connessioni tra blocchi e frammenti, è stata la più impegnativa. Rimaneggiati più volte in Museo e poco compresi da persone extra Stoneage i campioni erano dispersi in decine di cassette. Quattro settimane sono state necessarie per riuscire ad utilizzare nella preparazione tutti i pezzi di roccia contenenti resti ossei dopo averne definito le posizioni all’interno dello scheletro. Parte di questo era sezionato nel mezzo, ovvero le ossa comparivano in calco e controcalco. L’opera di ricongiungimento delle due metà di buona parte del dinosauro è stata molto impegnativa: la giunzione non può essere mai perfetta, situazione che poteva compromettere le fasi successive di lavorazione chimica. La verifica a posteriori ha permesso di constatare che non ci sono state sconnessioni superiori ai due millimetri.
Una volta ricomposti tutti i pezzi del blocco contenente Bruno si sono eliminate le parti di roccia in eccesso, con un minuzioso lavoro meccanico. La preparazione chimica è iniziata dalla zona caudale, più compatta, per verificare la validità dell’esperienza maturata alla fine degli anni 90. Per cautela si sono usate concentrazioni di acido più basse di quelle utilizzate in precedenza ma la procedura si è dimostrata comunque valida: avvicinamento meccanico alle ossa, il più possibile, ciclo di acidatura sotto controllo visivo, risciacquo ad acqua persa, asciugatura, consolidamento delle ossa emerse, reiterazione del ciclo.
Rimanevano ancora da estrarre il cranio e la coda del dinosauro. Si è optato per una prima rimozione del cranio, di lunghezza nota, e lo scavo della coda successivamente dopo l’acquisizione di maggiori informazioni sulle strutture geologiche complesse che contengono lo scheletro.
Per prima cosa, prudentemente, sono stati eseguiti dei piccoli tagli nella roccia parallelamente alle strutture emergenti in sezione sul vecchio piano di scavo. In questo modo, con una preparazione meccanica in loco si è potuto constatare che l’ipotesi di giacitura del cranio era esatta. A questo punto si è eseguita una serie di tagli paralleli all’asse principale del cranio fino alla profondità di 73 cm sia frontalmente che posteriormente all’affioramento.
Un’ulteriore sequenza di tagli è stata eseguita ortogonalmente ai primi. Si è proceduto alla rimozione di tutta la roccia antistante il cranio, in nodo da creare una fossa dove poter operare agevolmente. Infatti, per rimuovere il blocco contenente il fossile era necessario tagliarlo alla base. Ciò è stato fatto eseguendo una serie di fori orizzontali alla profondità massima possibile. Nei fori si sono inseriti i cunei spaccaroccia (evoluzione della tecnica già in uso ai romani) che opportunamente percossi hanno consentito il distacco del blocco pesante circa 600 kg. Il blocco è poi stato sollevato con opportuno paranco e trasportato in laboratorio dove, dopo un lungo lavoro meccanico teso a conservare le pieghe degli strati su cui si articola il cranio, ha subito la preparazione chimica. In questo caso la preparazione è stata simile a quella di Antonio visto che la roccia era sana e compatta. Il cranio, sulla sua matrice è stato montato su un supporto fornito di ruote per essere accostato al blocco.
Per estrarre la coda si è impostato il lavoro come per il cranio. Sono stati fatti dei tagli paralleli per creare il necessario grado di libertà alla base del blocco che è stato poi tagliato questa volta con il filo diamantato.
La sorpresa si è presentata quando in uno dei tagli verticali sono emerse delle sezioni di vertebre che lì non ci dovevano stare. Approfondendo la sorprendente situazione geologica si è scoperto che gli strati che si pensava concordi nell’immersione con quelli del blocco principale, in realtà erano ripiegati una volta di più e la coda, che doveva scendere in profondità ritornava a piegarsi verso la superficie tendendo ad affiorare. La situazione paradossale della giacitura del fossile, evidenziata dalle sezioni rinvenute aveva un piacevole riscontro: nel blocco tagliato era compresa tutta la coda e non c’era bisogno di procedere con macchinari pesanti e costosi per scavare più in profondità.
Rimane il mistero delle condizioni ambientali che hanno consentito allo scheletro del dinosauro, con dislocazioni contenute, di articolarsi su una serie di pieghe come quelle esistenti.