Tempesta Vaia: studenti universitari in visita alla foresta di Pramosio. Le foto
Paluzza (Ud) – Risalendo a piedi il rio Moscardo, verso la foresta regionale di Pramosio, in Carnia, si incontrano presto le prime cataste di tronchi: sono il segno del passaggio della tempesta Vaia, tra fine ottobre e inizio novembre 2018.
Vaia è stata l’evento più catastrofico mai registrato nei boschi italiani. Ha stravolto in poche ore il paesaggio montano a cui eravamo abituati, anche in Friuli, provocando lo schianto di una moltitudine di alberi, tutti insieme.
Per andare oltre l’impatto emotivo, per comprendere cosa è accaduto e imparare come si interviene nella fase successiva alla tempesta, è necessario entrare nel bosco e guardarlo con gli occhi degli esperti, di chi studia le dinamiche forestali e degli operatori che ci lavorano. È quello che hanno fatto gli studenti dell’Università della Montagna di Edolo, uscendo dall’aula e andando tra gli alberi, accompagnati dai docenti Gian Battista Bischetti e Giorgio Vacchiano.
Oltre a essere un luogo turistico, la foresta di Pramosio è un importante punto di riferimento per l’educazione ambientale e la didattica in Italia, assieme al Centro Servizi per le Foreste e le Attività della Montagna (Cesfam) di Paluzza.
Non lontano, nella frazione di Cleulis e a Timau, ci sono due esempi di “boschi banditi”, faggete secolari tutelate per la loro funzione di difesa dalle valanghe e dalla caduta di massi. Raccontano di un tempo in cui queste montagne erano coperte di pascoli e, per evitare il taglio degli alberi, bisognava porre un divieto. Oggi invece i pascoli sono sempre più rari, perché sono legati a un’economia marginale, e in tutta Italia aumenta la superficie boscata.
Questo pone la questione di come gestire e valorizzare il nostro patrimonio arboreo. Un patrimonio di cui, in parte, i non addetti ai lavori cominciano a rendersi conto proprio in seguito alla tempesta Vaia.
Percorrendo la strada forestale, si nota che le raffiche di vento provenienti da sud hanno colpito soprattutto le quote più basse della montagna, spazzando via alberi centenari, in grande maggioranza abeti rossi. A mezza montagna, entrando nella proprietà regionale, ci si ritrova invece di nuovo circondati dal bosco, colpito solo in alcuni punti. Qui, assieme ai forestali regionali, gli studenti dell’Università della Montagna hanno contribuito a individuare ed evidenziare con spray fluorescente gli alberi resi instabili dalla tempesta, che una ditta sarà poi incaricata di tagliare.
La foresta di Pramosio, costituita per lo più da alberi della stessa età e della stessa specie, rispecchia una vecchia visione del bosco, che in passato veniva gestito in funzione soprattutto delle logiche di mercato. A questo è dovuta la presenza dominante di abete rosso, molto più vendibile ma, si è visto, meno resistente dell’abete bianco. Ma il valore di una foresta si misura, oltre che per il legname che fornisce, anche per i servizi ecosistemici che svolge. Si tratta di quei benefici che la natura, con la sua presenza, offre all’uomo: per esempio un bosco è utile nella prevenzione del rischio idrogeologico e delle valanghe o per la capacità di immagazzinare anidride carbonica, gas a effetto serra responsabile del cambiamento climatico.
I forestali lavorano quindi non solo per produrre legname di qualità, ma anche per aumentare la biodiversità e la capacità del bosco di resistere a eventi estremi, favorendo la presenza di specie diverse, come i faggi e gli abeti bianchi. In Friuli, tra l’altro, è nata di recente la filiera Friul Dane, proprio per la valorizzazione anche commerciale dell’abete bianco.
Testo e foto a cura di Elisa Cozzarini