Avvocati goriziani ricorreranno alla Corte Europea dopo il no della Cassazione ai risarcimenti ai prigionieri
Gorizia – Il team goriziano di avvocati – Livio e Grazia Bernot, padre e figlia – che da circa vent’anni difende il diritto ad essere risarciti degli ex prigionieri di guerra negli Stati Uniti valuterà se ricorrere alla Corte Europea dopo il “no” della Corte di Cassazione ai risarcimenti.
Questi i fatti, ben sintetizzati dall’interrogazione che il senatore Luciano Guerzoni (DS/Ulivo), il 16 febbraio 2005, rivolse alla Commissione Difesa:
“quasi 50.000 soldati italiani nel corso dell’ultima guerra mondiale, internati quali prigionieri di guerra negli Stati Uniti, furono addetti ad attività lavorative solo simbolicamente remunerate; 26 milioni di dollari, dopo la fine della guerra, furono versati al Governo italiano da quello degli U.S.A. per risarcire i soldati italiani per l’attività lavorativa da loro svolta durante la prigionia; tale somma, nonostante le reiterate richieste, mai risulta essere stata destinata agli ex prigionieri italiani in U.S.A. ancora in vita; si chiede di sapere se non si ritenga doveroso e urgente provvedere affinché gli aventi diritto abbiano al più presto quanto a loro spetta”.
Dopo aver tentato inutilmente di scoprire che fine avessero fatto i risarcimenti, vent’anni fa un centinaio di ex prigionieri decise di fare causa e si rivolse all’avvocato Livio Bernot e a sua figlia Grazia per citare in giudizio lo Stato e il Governo italiani, il Ministero della Difesa e quello dell’Economia.
La Corte di Cassazione pochi giorni fa ha rigettato il ricorso: secondo i giudici – si legge sul Corriere Veneto – «il ricorso va respinto» perché – per quanto possa sembrare singolare la storia – dal punto di vista giuridico «si è in presenza, in definitiva, di una del tutto ordinaria pretesa creditoria» e, di conseguenza, visto che sono trascorsi ormai 75 anni dall’Armistizio, è da considerarsi definitiva la «prescrizione del diritto azionato» anche se, come dichiarato dalla stessa Corte nella sentenza appena pubblicata, è tutto vero: «Com’è incontroverso, gli Stati Uniti hanno corrisposto (il denaro, ndr) al governo italiano, il quale avrebbe poi omesso di provvedere al relativo pagamento nei confronti degli aventi diritto».
A sentenza avvenuta, l’avvocatessa Grazia Bernot ha dichiarato alla stampa: “Studieremo e analizzeremo la possibilità di ricorrere alla Corte europea”.
La vicenda dei prigionieri italiani negli USA, per motivi legati alla storia politica del secondo dopoguerra, è rimasta poco nota. Nel 2012 è uscito per i tipi del “Mulino” un saggio di Flavio Giovanni Conti, “I prigionieri italiani negli Stati Uniti”.
La gran parte dei soldati italiani che finirono negli USA erano stati catturati in Africa dalle truppe inglesi. Il governo britannico li aveva poi consegnati agli americani.
Tra gli internati, distribuiti in più di 140 strutture collocate in tutto il territorio degli USA, c’erano anche scrittori e artisti come Giuseppe Berto e Alberto Burri.
Come ricorda il saggio di Conti, la maggior parte dei prigionieri accettò di “collaborare” con gli USA lavorando per compensi pressoché simbolici, anche perché il trattamento era più che umano, sia per motivi culturali ed economici sia per le pressioni della comunità italoamericana.
“I lavoratori italiani – ricostruisce il Corriere Veneto – ricevevano solo 80 centesimi al mese, mentre tutto il rimanente finiva in un «fondo per i prigionieri» con la promessa che la somma accantonata sarebbe stata consegnata al termine del conflitto”.
Gli Stati Uniti, a guerra finita, inviarono quella somma – 26 milioni di dollari appunto – al governo italiano, che però non la corrispose mai agli ex prigionieri.