L’Odissea e la pianificazione patrimoniale. È ancora Telemaco che può dare l’esempio. Anche agli industriali

Trieste – C’è un brivido che percorre l’Europa e l’Italia, una preoccupazione che allarma da sempre imprese e aziende a conduzione familiare. Da qualche tempo, suscita l’interesse delle associazioni degli industriali che indicono forum per approfondire il fenomeno, e delle banche assieme ai gruppi di gestione patrimoniale che propongono strategie di salvaguardia delle sostanze ereditarie.

I dati al riguardo non sono confortanti, stando agli osservatori del settore.

Infatti, c’è una fase particolarmente delicata nella vita di un’impresa familiare ed è facilmente intuibile: è la trasmissione del patrimonio da padre in figlio, quel momento in cui avviene il passaggio di testimone tra generazioni e che tanto preoccupa – in genere – il  capofamiglia e talvolta l’erede.

Ed è una preoccupazione lecita se si confrontano le stime: si ritiene che in Europa l’85% delle aziende non riesca a resistere oltre la terza generazione e che circa il 10% dei fallimenti sia imputabile proprio al cambio di gestione per motivi generazionali.

In Italia esiste l’Osservatorio sulle Aziende Familiari Italiane che recentemente ha riscontrato dati ancora più preoccupanti per il tessuto economico nazionale: solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione.

Anche le prospettive per il futuro non sono rosee: poiché si prevede che circa il 18% delle imprese familiari vedrà un passaggio generazionale nei prossimi 5 anni, gli esperti del settore ritengono che la situazione vada affrontata con i dispositivi adatti.

Ma non c’è niente di nuovo sotto il sole. E ogni volta che la cronaca tocca un argomento che riguarda le dinamiche sociali, politiche o economiche, il pensiero non può non scorgere le similitudini con l’antichità – storica o mitologica – della ragione culturale che ci accomuna, da cui deriviamo e in cui – talvolta – si possono scorgere, se non i rimedi, almeno le cause di alcuni mali.

Perché, correva l’anno 423 avanti Cristo, ci fu già un padre, un personaggio delle Nuvole – la famosa commedia di Aristofane – che si lamentava di avere un figlio spendaccione, godereccio e dilapidatore delle sostanze del genitore. Un giovanotto che aveva il vizio di scommettere sui cavalli ed era finito nelle mani degli usurai. Alla fine, il padre vorrebbe punirlo ma viene picchiato dal figlio.

Tra i molti temi di questa commedia, spicca senz’altro un motivo ricorrente nella storia dell’umanità, ovvero l’eterno conflitto (o almeno incomprensione)  tra padri e figli, tra vecchi e giovani, fra tradizione e novità.

A considerare i dati raccolti in Europa e in Italia, sembra che l’essere umano abbia mantenuto immutato quell’insieme di passioni, sentimenti ed emozioni delle origini, quel complesso di costanti antropologiche che lo rendono vulnerabile al cambiamento generazionale provocando effetti negativi per l’economia. In compenso, il progresso scientifico e tecnologico lo ha proiettato verso la ricerca e l’acquisizione di strumenti che lo rendano meno esposto agli effetti delle proprie peculiarità arcaiche.

In questo periodo, in diverse sedi di Confindustria nella nostra regione, gruppi di Giovani Imprenditori ed esponenti della Piccola industria discutono e riflettono su quali strumenti, quali mezzi fiscali, giuridici ed economici possano fare da paracadute per eventuali incidenti nell’iter del ricambio generazionale.

Alla fine, il problema rimane sempre lo stesso: il rapporto tra padri e figli, la trasmissione di un patrimonio ereditario nel senso più vasto del termine, un patrimonio materiale e immateriale, fatto di capitali e idee soggette alla dissipazione e intaccabili da franchigie e aliquote, a seconda delle politiche economiche dei vari governi.

Da che mondo è mondo le preoccupazioni rimangono le stesse. Tuttalpiù cambiano gli strumenti e i correttivi. Una volta erano le “percosse” delle Nuvole. Oggi si tende a una serie di rimedi mirati, come sottolinea un comunicato del Gruppo Giovani Imprenditori e il Comitato Piccola Industria di Confindustria Venezia Giulia: questi servono a  “evitare gli errori più comuni, tra cui non distinguere l’impresa dalla famiglia; confondere i ruoli di proprietà, governo e direzione; considerare la successione un obbligo verso il passato e non un’opportunità per il futuro; insistere su un modello di business obsoleto. A questi tratti spesso si aggiungono: una non sufficiente formazione imprenditoriale delle successive generazioni; un confronto limitato tra genitori e figli; l’idea che il patrimonio tradizionale di valori rappresenti l’unica soluzione a prescindere dal contesto socio-economico che è in continua evoluzione; un errato coinvolgimento di attori terzi e in generale una scarsa preparazione all’imprevisto.”

E dire che, a voler andare ancora più indietro nel tempo, ci fu un personaggio che – all’inizio della storia letteraria della cultura occidentale – dimostrò quanto sarebbe auspicabile avvenisse ai giorni nostri.

Il prototipo del figlio abbandonato dal padre, con una madre indecisa ma bella e scaltra, cresciuto con fatica senza un modello di riferimento, costretto a misurarsi con un ambiente ostile, paradigma per molti comportamenti moderni, giunto all’età della ragione tenta di prendere il posto del genitore.

Quel giovane ventenne è Telemaco che, in assenza di Ulisse, reclama il potere entro la sua casa. Seppure tra mille difficoltà, il suo dramma è anche il dramma di una successione insidiata da estranei, i pretendenti alla mano della madre. È pur sempre un passaggio generazionale, il primo della nostra cultura, minacciato, tentato ma non risolto.

Telemaco tenta di rivendicare a sé il potere, sebbene gli altri gli neghino l’autorità per farlo. E tuttavia, il figlio insiste nel voler tenere unite e intatte le sostanze della casa paterna. Lotta per mantenere integro il patrimonio di Ulisse perché considera la reggia, quello che contiene e tutta Itaca un bene privato di cui ormai si sente padrone.

E se ne sente il padrone perché il glorioso Ulisse non torna. O almeno, finché il glorioso Ulisse non torna. Telemaco siede sul seggio del padre, gli anziani gli fanno posto, ma…

Si sa come finisce la storia dell’Odissea. Eppure, prima di raggiungere l’epilogo che tutti conosciamo, Telemaco è riuscito a considerare suo il patrimonio familiare trasmesso dal padre e a lottare per difenderlo dai pretendenti, anche quando semplicemente figurato dalla carne dei maiali, dal grano e dal vino.

Dietro questa determinazione c’è la consapevolezza di essere rimasto solo a fare i conti col proprio destino, di dover crescere e di avere delle responsabilità familiari e politiche, di dover lottare per mantenere una tradizione materiale e spirituale: insomma, di essere all’altezza di quell’eroe che era suo padre, come volevano le narrazioni degli aedi e come gli suggeriva l’ambiente in cui viveva.

Tutto sembrava funzionare al di fuori e prima delle sofisticate strategie d’impresa o di progettualità manageriale, di sistemi assicurativi o di pianificazione familiare e patrimoniale.

Non per niente erano tempi mitici.

Roberto Calogiuri
docente, autore di “Telemachia

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